Václav #38
7 settembre – 3 ottobre 2020
Questo Václav copre quasi tutto il mese di settembre, allungandosi ai primi giorni di ottobre. Tantissimi gli argomenti. Stavolta, più che per Paesi, li abbiamo raggruppati per temi. Apriamo con i rapporti tra Bruxelles e l’Europa Centrale. Molti dossier sul tavolo, e altrettanti spigoli: stato di diritto, attacchi alla comunità Lgbt+ in Polonia, questione migranti e Green Deal, dove spicca la decisione del governo polacco di chiudere, progressivamente, tutte le miniere di carbone della Slesia, culla mineraria del Paese.
Segue un punto sulla seconda ondata della pandemia. Dopo il riuscito contenimento nella prima fase, l’area Visegrád fronteggia una situazione allarmante. La terza sezione scava ancora nella grande questione della democrazia, con le pressioni che il governo ungherese esercita sulla stampa, ma anche con le resistenze che gli si oppongono. Andiamo avanti raggruppando notizie di cultura, con spazio a Olga Tokarczuk e Milan Kundera, e con le cronache dai palazzi della politica. In Polonia c’è stato un grande rimpasto e l’eminenza grigia di Varsavia, Jarosław Kaczyński, è entrato come vice premier nella squadra di governo. Infine, una piccola miscellanea con altre notizie dai Paesi del V4.
Buona lettura!
Fronte europeo
La bagarre sullo stato di diritto
Al Consiglio europeo dell’1-2 ottobre è esplosa la questione dello stato di diritto e delle relative violazioni che si registrano nei vari paesi Ue, in particolare in Ungheria e in Polonia. Tutto è partito da un rapporto sullo stato di diritto nei 27 Stati membri diffuso dalla Commissione. Le riserve maggiori sono cadute su Budapest e Varsavia, appunto, anche se l’esecutivo europeo non ha risparmiato altri Paesi del blocco.
Il rapporto esce, e non è un caso, mentre si discute se vincolare al rispetto dello stato di diritto l’erogazione dei fondi strutturali nel 2021-2027. Diversi Paesi Ue, a partire dall’Olanda, stanno premendo in questo senso. La presidenza tedesca dell’Ue, cui spetta la gestione del negoziato, non sarebbe contraria. I governi di Budapest e Varsavia invece si oppongono. Il primo ministro magiaro, Viktor Orbán, ha chiesto le dimissioni di Věra Jourová, commissaria ai Valori e “madrina” del rapporto. E il suo ministro degli esteri, Péter Szijjártó, ha lanciato con l’omologo polacco Zbigniew Rau l’idea di creare un istituto di ricerca comparativa sullo stato di diritto che contrasti «la soppressione delle opinioni voluta dall’ideologia liberale». Da Hungary Today.
“La Commissione europea ha diffuso un rapporto sui casi di mancato rispetto dello stato di diritto nei 27 Paesi membri. Polonia e Ungheria i più criticati. I loro governi reagiscono: no a lezioni di democrazia. Intanto, sbarca a Bruxelles la questione dei diritti, sotto attacco, della comunità Lgbt+ polacca. ”
Lgbt+, Bruxelles contro le discriminazioni
L’Ungheria è controllata a vista da Bruxelles per il processo, costante, che in questi anni ha portato alla “cattura dello stato”. La Polonia segue la scia, anche se ci sono più resistenze nei confronti del governo. Varsavia, a ogni modo, ha colto l’obiettivo principale che si era prefissata: mettere le mani sulla giustizia. Ultimamente, invece, è deflagrata la questione dei diritti della comunità Lgbt+, per via di attacchi verbali, molto duri, da parte della Chiesa, del presidente Andrzej Duda, della stampa di destra e della radio-tv pubblica, ormai organica a Diritto e Giustizia (PiS), il partito populista al potere dal 2015. La faccenda è sbarcata in Europa.
Nel corso del recente discorso sullo stato dell’Unione, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha spiegato che all’interno dell’Unione europea non possono esistere zone Lgbt-free, proclamate da decine comuni polacchi dichiaratisi contrari a ogni unione o rapporto diversi da quelli uomo-donna. «Proporrò di allungare la lista dei crimini d’incitamento all’odio - ha detto von der Leyen - sia che si tratti di matrice razziale, di genere o di orientamento sessuale». Le zone Lgbt-free sono il frutto di una campagna di Tomasz Sakiewicz, il direttore di Gazeta Polska, un settimanale di destra, con una visione del mondo molto radicale. La Bbc è andato a intervistarlo. Per Sakiewicz, ogni polacco è libero di avere le proprie abitudini sessuali. Ciò che però è inaccettabile, secondo il giornalista, è «l’ideologia aggressiva che promuove l’omosessualità», un concetto importato dall’Occidente che, a suo dire, minaccia la famiglia tradizionale.
In Europa, della questione Lgbt+ si è occupato anche il deputato spagnolo Juan Fernando López Aguilar, che guida la Commissione dell’Europarlamento sui diritti civili. Ha preparato un rapporto in cui definisce preoccupante la situazione polacca. Nel documento, oltre all’intolleranza verso la comunità Lgbt+, che ha scatenato un duro dibattito in aula, come riferito da Linkiesta, vengono scrutinate la riforma della giustizia, la libertà di espressione e la violenza di genere.
No al patto sulle migrazioni
Intanto, si consuma un’altra frattura tra la Commissione e i Paesi dell’area Visegrád, a riguardo del piano recente lanciato da Bruxelles per ridefinire le politiche sull’immigrazione. Prevede una migliore gestione delle richieste di asilo politico e un rafforzamento dei controlli sui confini. Ma a Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca non basta. Vogliono frontiere impenetrabili. La Slovacchia non si è allineata, a ogni modo, a questa linea. Da Euronews.
Produzione di carbon fossile in Europa / Commissione Ue
Addio al carbone della Slesia
Il piano della Commissione sulla neutralità climatica, da conseguire da qui al 2050, è stato approvato da tutti i Paesi Ue, esclusa la Polonia, per la quale la de-carbonizzazione richiesta da Bruxelles è un passaggio irto e stretto. La Polonia è l’ultimo grande distretto europeo del carbone fossile (vedi grafico). Produzione di elettricità e riscaldamento delle case dipendono in larga misura da questo combustibile. Senza contare che i minatori – 90mila in tutto il Paese – votano, e dunque chiudere le miniere, molte delle quali obsolete, quindi costose, è una questione spigolosa. Da qui il no al piano europeo.
Di recente c’è stata però una significativa svolta da parte del governo, che d’accordo con i sindacati ha stabilito la chiusura graduale di tutte le miniere statali della Slesia, la culla mineraria nazionale. Le prime cesseranno le attività nel 2021, le ultime nel 2049. Parallelamente, sono previsti incentivi socio-economici per i minatori. Ne riferisce Reuters, segnalando che è un primo passo, da parte di Varsavia, per adeguarsi al Green Deal Ue.
Viktor, chiavi in mano
Nell'ottobre del 2017 un manager di primo piano dell’industria dell’auto tedesca si vantò, durante un ricevimento, dei suoi rapporti preferenziali con Viktor Orbán. Due anni prima la Volkswagen era stata travolta dallo scandalo sui dati delle emissioni inquinanti truccati sui propri veicoli diesel. Il caso ebbe pesanti ripercussioni sul comparto in tutta la Germania. I suoi esponenti decisero di rivolgersi al primo ministro ungherese per uscire. Del resto, un quarto delle automobili diesel sotto inchiesta era stato assemblato nello stabilimento magiaro della Volkswagen, a Győr. E anche l’interesse di Orbán era quello di fermare l’onda d’urto dello scandalo, salvaguardando posti di lavoro e indotto in un settore fondamentale per l’economia ungherese. Il premier magiaro, così, si fece portavoce del colosso tedesco presso il Consiglio europeo, e riuscì a far approvare un regolamento poco trasparente sulle emissioni inquinanti dei veicoli nel settembre del 2017. Il giornalista Panyi Szabolcs ha scritto una lunga inchiesta sul tema, uscita sul sito Direkt36, dal titolo emblematico: How Orbán played Germany, Europe’s Great Power, come Orbán ha tratto vantaggio dalla Germania, la grande potenza europea.
La copertina dell’inchiesta di Direkt36 su business e intrighi legati all’automotive tedesco in Ungheria.
La seconda ondata
Slovacchia, primi problemi
Come nel resto d’Europa, anche nel V4 si fa i conti con l’arrivo della seconda ondata del coronavirus. Iniziamo la panoramica da Bratislava. Dopo essere stato il Paese europeo con meno contagi pro-capite durante la prima fase epidemica, anche grazie a un approccio non condizionato dai calcoli politici (lo ricordano Martin Ehl e Wojciech Przybylski su Visegrad Insight), la Slovacchia sta affrontando ora un periodo più duro, con un picco di 567 casi registrati il 30 settembre. Quello più alto, nella fase precedente, si era registrato il 15 aprile, con 115 nuovi contagiati. Come riporta Buongiorno Slovacchia, il governo sta seriamente valutando di dichiarare nuovamente lo stato di emergenza, revocato lo scorso 14 giugno. Non sembra in agenda la proposta di un nuovo lockdown, ma il Budapest Business Journal riferisce che il comitato scientifico consultato dall’esecutivo proporrebbe la riduzione del numero massimo di partecipanti a eventi pubblici (200 per quelli all’aperto, 100 per quelli al chiuso), oltre a un limite di 30 persone per feste familiari e matrimoni. È stato già disposto, intanto, lo stop per tutte le manifestazioni sportive e culturali di massa. In attesa di capire cosa significherà per le competizioni in corso, la semifinale di play-off tra Slovacchia e Irlanda per accedere agli Europei della prossima estate dovrebbe regolarmente giocarsi giovedì 8 ottobre. Lo riporta l’Irish Times.
Segui tutte le nostre attività. Gli articoli su carta e in rete. I longform, storie molto lunghe, tutte da leggere, possibilmente slegate dalla cronaca. Gli interventi radio-tv come esperti. E il Václav, la nostra ricca rassegna stampa sull’Europa Centrale.
Resto della regione
Crescono a ritmi molto alti i contagi da coronavirus in Ungheria. A settembre c'è stata un'impennata dei nuovi casi, passati da poche decine a molte centinaia al giorno. Il picco, mentre scriviamo, risale a mercoledì 30 settembre con 894 contagi e 8 vittime registrati, mentre quasi 20mila persone risultano attualmente positive al virus nel Paese, cifra dieci volte superiore a quella della prima ondata, in primavera. Il 16 settembre il governo ha varato nuove misure. È divenuto obbligatorio indossare la mascherina in cinema, teatri e uffici pubblici, oltre che in negozi e sui mezzi di trasporto. Chiusura obbligatoria alle 23 per i locali notturni, inoltre.
Nel frattempo, il 24 settembre nella Ferenc Puskás Arena di Budapest si è giocata la Supercoppa europea tra Bayern Monaco e Siviglia, vinta dai tedeschi. Hanno assistito all'incontro circa 20mila spettatori, pari al 30% della capienza dell'impianto, compresi 1800 tifosi provenienti da Spagna e Germania. La scelta dell'Uefa di ammettere pubblico nello stadio è stata criticata dal sindaco della capitale, Gergely Karácsony, che avrebbe voluto un match a porte chiuse per limitare il rischio di nuovi contagi. Il punto del Post.
“Contagi in salita in tutta la regione. La Repubblica Ceca è al momento il Paese più colpito. Ovunque sono scattate nuove misure per il contenimento della pandemia. A Praga e Varsavia ci sono stati avvicendamenti al vertice dei ministeri della Sanità. ”
Contagi in salita pure in Polonia, ed è molto probabile che la capitale Varsavia diventi a breve zona gialla. L’inizio delle scuole, il rientro dalle ferie e una certa rilassatezza da parte della popolazione hanno determinato la propagazione del virus. Ora il governo cerca di correre ai ripari introducendo alcune restrizioni, come la riduzione del numero di persone consentite ai matrimoni, l’obbligo di mascherine all’aperto nelle cosiddette zone gialle e la chiusura di bar e ristoranti alle 22 nelle zone rosse. Ne scrive Notes from Poland.
Il 3 ottobre si sono contati 2367 casi positivi, ma al tempo stesso si sono effettuati più test del solito, 30500. Una svolta, rispetto alle precedenti settimane. Da fine agosto, cioè da quando si è insediato il nuovo ministro della Sanità, Adam Niedzielski, si è infatti ridotto drasticamente il numero dei tamponi, che in media viaggia intorno ai 20mila al giorno. Le indicazioni governative prevedono il test solo per i sintomatici.
E terminiamo con la Repubblica Ceca, dove nei giorni scorsi è stato decretato di nuovo lo stato di emergenza. Il primo ottobre c’è stato il picco dei contagi, con quasi 3500 casi. In tutto, dall’inizio dell’epidemia se ne sono contati 78mila. Per correre ai ripari, il primo ministro Andrej Babiš ha nominato un nuovo responsabile alla sanità. Ad Adam Vojtěch è subentrato Roman Prymula, un epidemiologo che in passato era stato critico verso la risposta del governo alla pandemia.
I dolori della stampa magiara
“Dalle ceneri di Index, il più popolare sito di notizie in Ungheria, passato di recente sotto il controllo indiretto del governo, è nato Telex. Stessi redattori, stessa linea non allineata, la testata è stata lanciata grazia a una campagna di crowdfunding molto partecipata. ”
Da Index a Telex
Tra i settori cannibalizzati dal governo magiaro c’è quello della stampa. Da quando Fidesz – il partito di Orbán – è tornato al potere nel 2010, molte testate sono finite sotto il controllo dell’esecutivo, tramite manovre finanziarie degli oligarchi che gli orbitano intorno. Tra le ultime vittime c’è Index, considerato uno degli ultimi baluardi della stampa indipendente online. Dopo il passaggio di proprietà, a giugno, il caporedattore Szabolcs Dull e i redattori si erano dimessi. Subito, hanno lanciato una nuova avventura, sempre online: quella di Telex. Con una accolta fondi di successo, che ha contato su ben 33mila sostenitori, Telex ha iniziato a sfornare articoli il 2 ottobre. Ci sarà anche una sezione in lingua inglese. L’articolo sul lancio della nuova testata indipendente è di Reporting Democracy. E ora proseguiamo con altre notizie sul controverso rapporto tra potere e stampa.
Modello russo
Il governo starebbe cercando di lanciare un’Opa, molto ostile a quanto pare, su Central Médiacsoport, gruppo editoriale che controlla 25 testate della carta stampata e 19 online, fra le quali il portale d'informazione 24.hu. In un’intervista rilasciata a Bloomberg, il titolare, l’imprenditore Zoltan Varga, sostiene di essere pedinato e di aver ricevuto due offerte da acquirenti che ritiene intermediari di Orbán. «Sicuramente ho sottovalutato il modo in cui il governo avrebbe esercitato pressioni sui media. Si vorrebbe creare un panorama mediatico controllato dall'alto, sul modello russo», sentenzia Varga.
L'attacco a Klubrádió
L'11 settembre l'Autorità nazionale ungherese per le telecomunicazioni (Nmhh) ha revocato la licenza concessa a Klubrádió, una delle sparute voci critiche al governo sull’etere ungherese. Motivo della decisione sarebbero “le ripetute violazioni alle disposizioni della legge sui media”, anche se l’Nmhh non ha fornito dettagli specifici sulle irregolarità contestate. La revoca della licenza costringerà la radio a cessare le trasmissioni il 14 febbraio del 2021. L'emittente può fare appello per ottenere il rinnovo della licenza ma, se dovesse perderlo, la sua frequenza andrà ad altri. Se ne parla su Hungary Today.
Un'annunciatrice della sezione ungherese di Radio Free Europe ai tempi della Guerra fredda / Da Hungary Today
Il ritorno di Radio Free Europe
È tornata a Budapest Radio Free Europe/Radio Liberty, storica emittente radiofonica voluta durante la Guerra Fredda dal governo statunitense per contrastare la propaganda dei regimi comunisti dell'Europa centro-orientale. Dal 1949 al 1995 la sede della stazione radio fu a Monaco di Baviera, mentre oggi si trova a Praga. Dopo il crollo del Muro di Berlino alcuni uffici di corrispondenza furono chiusi, dato l’avanzare della democrazia. Tra questi, quello di Budapest. L’odierna situazione politica ungherese ha però suggerito alla proprietà – il Congresso americano – di riaprire i battenti. I contenuti della sede di Budapest, curati da una redazione composta da dieci giornalisti ungheresi, affrontano sia affari interni che internazionali, con video, reportage e podcast. L'obiettivo è fare giornalismo indipendente, anche se come detto la testata è finanziata dal Congresso. E questo solleva qualche perplessità, visti gli amichevoli rapporti fra Donald Trump e Viktor Orbán. Ne scrivono Peter Magyar sull'Ansa e Massimo Congiu su Affari Internazionali.
Cultura
“Di recente, la scrittrice polacca ha rifiutato la cittadinanza onoraria della Bassa Slesia, la regione in cui vive. Avrebbe dovuto ritirarla insieme a un vescovo critico verso il movimento Lgbt+, che Tokarczuk invece appoggia. ”
Nobel, un anno di Tokarczuk
È passato un anno dall’assegnazione del premio Nobel della letteratura 2018 ex post a Olga Tokarczuk. Un anno in cui, per sua stessa ammissione, l’autrice non ha ancora avuto modo di vivere la sua esperienza da premio Nobel, in quanto la pandemia da Covid-19 e il relativo lockdown sono arrivati nel momento in cui stava per iniziare un ciclo di incontri. Questo e altro viene raccontato dalla scrittrice polacca nell’intervista rilasciata all’Ansa in occasione del festival della letteratura Pordenonelegge.
Qualche giorno dopo la manifestazione friulana, Olga Tokarczuk ha rifiutato la cittadinanza onoraria offertale dalla Bassa Slesia, la regione in cui vive. Avrebbe dovuto ritirare il riconoscimento insieme a un vescovo che in passato aveva espresso parole ostili nei confronti del movimento Lgbt+. Essendo sempre stata molto vicina alla comunità Lgbt+, ha preferito non accettare. Lo riporta Euronews.
Papa Wojtyła e il meteorite
Davanti al Museo Nazionale di Varsavia è comparsa un’installazione che sta facendo discutere. È una scultura di papa Giovanni Paolo II che sorregge con le mani un meteorite, mentre i suoi piedi sono immersi in un lago di sangue. L’opera è una risposta a La nona ora di Maurizio Cattelan, che raffigurava il pontefice a terra, colpito da un sasso stellare. Il museo ha spiegato che l’autore, lo scultore Jerzy Kalina, ha voluto rappresentare il papa come un uomo dalle doti sovrumane, che ha giocato un ruolo decisivo nella storia della Polonia e dell’Europa innescando un processo di trasformazione storica, sociale e spirituale. Da The Guardian.
Il tatuatore di Auschwitz
Nel 2018 la scrittrice neozelandese Heather Harris ha raggiunto i lettori di tutto il mondo con il best-seller internazionale Il tatuatore di Auschwitz, in Italia uscito con Garzanti nella traduzione di Stefano Beretta. Il romanzo racconta la storia vera di Ludwig Sokolov, detto Lale, ebreo slovacco nato suddito asburgico e prigioniero nel campo di concentramento di Auschwitz dove aveva il compito di tatuare sul braccio dei detenuti l’odioso numero di serie. Dopo l’emigrazione in Australia, ha raccontato la sua storia alla Harris che dopo la sua morte ha scritto il romanzo che l’ha resa famosa. Oggi l’autrice racconta sul Telegraph la genesi del suo libro.
K come Kundera e come Kafka
Il grande scrittore ceco Milan Kundera ha ricevuto il Premio Kafka per la letteratura, intitolato a un altro gigante della letteratura, illustre praghese. Il premio è attributo dalla Società Franz Kafka e dal Comune di Praga. Kundera, riferiscono gli organizzatori, ha detto di accettarlo con gioia. L’autore, 91 anni, risiede da decenni in Francia. Lasciò la Cecoslovacchia alla metà degli anni Settanta per motivi politici. E perse la cittadinanza. La Repubblica Ceca, il ramo di Cecoslovacchia in cui Kundera nacque, gliel’ha riconsegnata alcuni mesi fa. Poco dopo, segnale il Guardian, Kundera ha donato la sua biblioteca e il suo archivio alla biblioteca pubblica di Brno, la città in cui è nato, nella regione storica della Moravia.
Poteri e palazzi
La centrale nucleare di Temelin. Disputa russo-americana sui lavori per il potenziamento del sito / Ivabalk, Pixabay
Praga bicefala
Membro della Nato e dell’Ue, divisa sul rapporto con Mosca e con Pechino (alcuni lo vogliono stretto, altri debole), la Repubblica Ceca vive da un po’ di tempo sul filo della tensione le sue relazioni internazionali. Ne abbiamo già dato conto nei precedenti Václav. In questo, segnaliamo un interessante articolo di Reporting Democracy che fa luce sul nucleo ristretto di consiglieri del presidente Miloš Zeman, in carica dal 2013. Il capo dello stato e il suo cerchio magico, si legge nel pezzo, tentano da anni di spostare l’asse della politica estera ceca verso l’oriente vicino, la Russia, e quello lontano, la Cina. In tutto questo, il primo ministro Andrej Babiš, che deve la sua permanenza a palazzo a Zeman, si trova sotto ricatto. Da un lato, vorrebbe perseguire una politica estera più euro-atlantica; dall’altro, non può sconfessare la linea di Zeman. Un esempio di questo galleggiare tra le linee è il potenziamento, programmato da tempo, della centrale nucleare di Temelin. Zeman e i suoi vorrebbero appaltare i lavori ai russi. Di recente, il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha incontrato Babiš, esercitando pressioni enormi affinché i lavori vadano, piuttosto, a un consorzio americano. Ne parla Foreign Policy.
E sempre su Babiš, c’è da segnalare un disegno di legge che punta ad ampliare l’offerta di prodotti alimentari cechi sugli scaffali dei supermercati. E così Agrofert, l’azienda del primo ministro, potrebbe avvantaggiarsene, sostengono in molti. Ancora una volta emerge il conflitto di interessi Babiš. Intanto, spunta una app per il tracciamento dei prodotti in vendita nei supermercati e l’identificazione di eventuali legami con Agrofert: un modo per boicottare l’azienda. Racconta tutto Politico.
Rimpasto a Varsavia
Jarosław Kaczyński torna in prima linea. Il leader di Diritto e Giustizia (PiS) ricoprirà la carica di vice primo ministro, abbandonando i panni del semplice senatore o, come scrive spesso la stampa liberale polacca, di eminenza grigia dell’esecutivo. È questo il risultato principale a cui la coalizione di governo è giunta al termine di alcune settimane molto difficili, in cui aveva rischiato di cadere per via di una legge sulla tutela dei diritti degli animali, fortemente voluta dallo stesso Kaczyński, che aveva provocato lo strappo con il ministro della Giustizia, Zbigniew Ziobro, presidente del partito alleato Solidarna Polska e membro molto influente e ambizioso dell’esecutivo.
Le tensioni covavano da tempo sotto la cenere, a causa di un protagonismo sempre maggiore di Ziobro, a detta di molti intenzionato a spodestare il primo ministro Mateusz Morawiecki. Come riportato da Bloomberg, la scelta di Kaczyński di tornare ad avere un ruolo attivo nel panorama politico gli permetterà da una parte di tenere a bada Ziobro, e dall’altra di tutelare la sopravvivenza del governo. La crisi di governo è stata raccontata da Il Post.
“Jarosław Kaczyński smette i panni da eminenza grigia, da gran manovratore dietro le quinte, ed entra nella compagine di governo come vice primo ministro. Una decisione che arriva dopo un momento di crisi nell’esecutivo, con una spaccatura chiara tra il primo ministro Mateusz Morawiecki e il ministro della Giustizia Zbigniew Ziobro, sempre più ambizioso. Kaczyński, entrando nella squadra di governo, dovrebbe fare da controllore e paciere. ”
Oltre a Kaczyński entra nella squadra dell’esecutivo anche Przemysław Czarnek, con l’incarico di ministro dell’istruzione. La nomina di Czarnek ha fatto molto discutere a causa delle sue prese di posizione offensive nei confronti della comunità Lgbt+: aveva definito “persone non normali” i suoi esponenti. Cambia anche il ministro dell’Agricoltura. Esce di scena Jan Krzysztof Ardanowski, che aveva dimostrato contrarietà alla legge sugli animali da allevamento, ed entra Grzegorz Puda, uno dei padri di quella legge. Va registrato infine anche il ritorno di Jarosław Gowin nella posizione di vice premier. Gowin si era dimesso da quel ruolo aprile, in polemica con la linea del governo di voler far svolgere a tutti i costi le elezioni presidenziali il 10 maggio, in piena ondata epidemica. Per Notes From Poland, il rimpasto vede anche una considerevole riduzione del numero dei dicasteri che passano da 20 a 14.
Matovič senza spinta propulsiva
A pochi mesi dalla vittoria elettorale del suo partito Ol’ano e della conseguente nomina a primo ministro, Igor Matovič non sta vivendo una fase di grande popolarità. Secondo un sondaggio riportato da Slovak Spectator solo il 32% degli slovacchi dichiara di fidarsi di lui. La figura che gode di maggior fiducia tra i leader politici è oggi la presidentessa della repubblica Zuzana Čaputová con il 66% dei consensi, seguita dall’ex premier Peter Pellegrini (51%). Matovič perde consensi anche tra i suoi elettori, pagando probabilmente l’inesperienza e la difficoltà di un insediamento arrivato nel bel mezzo di una pandemia.
Ed è forse con l’intento di riacquistare almeno una parte del consenso perduta che la maggioranza si prepara a presentare un disegno di legge che prevede un aumento del salario minimo orario del 7,5%. Passerà da 3,33 a 3,58 Euro. Il lordo garantito mensile, per via di questa rimodulazione, salirà a 623 Euro. Per Kafkadesk, si tratta del terzo aumento di salario minimo degli ultimi due anni.
Monaco ‘38 come Praga ‘68
Robert Fico, ex premier e leader di Smer, partito socialdemocratico, è tornato a parlare in pubblico con la proposta di una giornata per ricordare la conferenza di Monaco del 1938, con la quale la Germania nazista si appropriò di buona parte del territorio della neonata Cecoslovacchia con il pretesto di supposte discriminazioni subite dai tedeschi dei Sudeti, spicchio di terra del Paese slavo. Secondo Fico, quella conferenza è il simbolo del grande tradimento delle democrazie occidentali nei confronti dell’Europa di mezzo. Francia e Gran Bretagna cedettero alle richieste di Hitler. E lo stesso fece l’Italia di Mussolini, che però viaggiava su un’altra lunghezza d’onda a livello politico. Monaco ’38, per Fico, non è da ritenersi meno grave dell’anniversario dell’invasione sovietica del 1968, che strangolò la Primavera di Praga. Lo indicaa l’agenzia di stampa Tasr.
Studenti contro Orbán
Da quasi un mese gli studenti dell'Università per il teatro e le arti cinematografiche di Budapest (Szfe) occupano il proprio ateneo, bloccandone l'accesso. La loro protesta è cominciata il 4 settembre a seguito di una riforma, varata dal governo, che ha trasferito l'amministrazione della Szfe dallo Stato a una fondazione privata controllata dallo stesso esecutivo. Gli studenti e i loro docenti invocano l'autonomia, e hanno inoltrano al governo un documento contenente 13 richieste in tal senso. L'appello resta sinora inascoltato, e gli studenti non intendono cedere il passo. Degli sviluppi recenti della vicenda si occupano Linkiesta e France24 (in inglese).
Altre notizie
Vistola inquinata
L’impianto di raccolta delle acque reflue di Varsavia ha subito il secondo grave malfunzionamento nel giro di un anno, sversando nella Vistola, il più grande fiume polacco, migliaia di metri cubi di acqua inquinata al secondo. Sul banco degli imputati è finito il sindaco liberale Rafał Trzaskowski, già candidato alle presidenziali di luglio. Viene accusato di non essere stato in grado di mettere in sicurezza l’impianto dopo l’incidente verificatosi lo scorso anno. East Journal si occupa della vicenda.
Varsavia per Minsk
La Polonia è l’unico Paese dell’area Visegrád a confinare direttamente con la Bielorussia, con cui vanta peraltro secoli di storia condivisa. Naturale, dunque, che Varsavia, sin da quando sono esplose le proteste per la contestata rielezione di Aleksander Lukashenko, il 9 agosto, si sia prodigata per sostenere l’opposizione bielorussa. Come? Accogliendo esuli, curando negli ospedali gli oppositori feriti o torturati e sostenendo media indipendenti con sede a Varsavia. Il servizio della Bbc.
Rom, lingua dimenticata
Il Consiglio d’Europa, organismo paneuropeo impegnato per i diritti umani, ha criticato Praga: troppi pochi sforzi per garantire l’insegnamento della lingua rom. Lo riferisce Romea.cz, sito dedicato alla cultura della più grande minoranza del Paese, quella rom appunto. In tutta la repubblica, ci sono solo tre scuole, una primaria e due secondarie, dove la lingua rom fa parte del programma. Va meglio nelle università, per lo meno. Diversi atenei prevedono l’insegnamento dell’idioma rom.
Il Ferencváros fra i campioni
Grazie al pareggio per 0-0 ottenuto in casa contro i norvegesi del Molde, e in virtù del 3-3 dell'andata, il Ferencváros approda alla fase a gironi della Champions League, dove sfiderà anche la Juventus. Si tratta di un traguardo importante per il “Fradi”, questo il soprannome del Ferencváros presso i propri tifosi. La storica squadra di Budapest, casacca inconfondibile bianco-verde, fondata nel 1899, mancava dalla Champions League dal 1995-1996. L’ultima squadra magiara a prendervi parte, nel 2009-2010, era stata il Debrecen. Ne scrive anche la Gazzetta dello Sport. Qui sotto, invece, un video che ripercorre partita per partita la strada compiuta dal Ferencváros per ritrovare un posto nella più importante competizione calcistica d’Europa.
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