L'avvocato
di Alessandro Grimaldi
La mattina del 30 gennaio 2024 nell'aula 36 del tribunale metropolitano di Budapest tre imputati compaiono davanti al giudice per l'udienza preliminare del processo n.15.B. 433/2023
Arrivano in manette e con i ceppi ai piedi, legati alla vita con una pesante catena a mo’ di guinzaglio, scortati da energumeni in passamontagna. Sono un uomo e due donne. Una di queste è entrata in aula con un largo sorriso: è italiana, si chiama Ilaria Salis e il suo caso è ancora poco noto, anche se è già comparso sui giornali italiani. Per lei la corte ungherese chiede 24 anni per tentato omicidio per fini politici di inermi cittadini perché ritenuti simpatizzanti di estrema destra. Per difenderla il padre Roberto si è rivolto a uno dei più noti avvocati d'Ungheria, György Magyar. Un nome che in Ungheria è quasi leggendario.
Magyar, 75 anni, negli ultimi 50 è colui che ha guidato il collegio difensivo in quasi tutti i principali processi del Paese, il più bravo, un Giulia Bongiorno o Carlo Taormina ungherese, ma di spirito liberale. Dovunque si sia svolto un processo importante c'era lui protagonista in aula, chiamato a ribaltare cause perse, sostenere i promotori di grandi battaglie civili e ambientali, affrontare processi con risvolti internazionali, difendere autori di delitti efferati. E tutto nell'Ungheria di Orbán, in cui la percentuale di successo dell'accusa è storicamente altissima. Ad esempio nel 2020 era del 98%, perdipiù con un trend in costante aumento e con il giudice che accoglie in pieno le richieste di pena dell'accusa nell'83% dei casi.
Quel giorno di gennaio, però, Magyar non è tra i banchi della difesa. Lì ci sono due fidati avvocati del suo studio e il rappresentante dell'Ambasciata d’Italia a Budapest. E Magyar non ci sarà neanche all'udienza successiva del 28 marzo, che andrà clamorosamente a vuoto per un sospetto "problema tecnico". Lui è a Tenerife, dove passa parte dell'anno. Arriverà in aula solo alla terza udienza di maggio, come suo solito con un camicia sgargiante con polsini bianchi da film americano. Nel frattempo, il caso Salis si trasforma in un enorme caso politico e mediatico, che smuove le coscienze e travalica la pura storia processuale. E spesso anche grazie a lui, che diventa l'ancora di salvezza della stampa italiana. Quando non ci sono novità, e in Ungheria l'eco del processo si è molto smorzato, è la telefonata a Magyar, chissà dove, a fornire materiale alla stampa, una dichiarazione o una frase a effetto. Tutto parte della strategia difensiva che già aveva dato frutti nella sua carriera fino ad allora.
Gli esordi - il bandito del whisky
Magyar aveva iniziato a esercitare la professione già negli anni '80, nell'Ungheria di Kádár, all'interno di quelle che allora si chiamavano "comunità di lavoro". È lì che si fa le ossa, quando ancora non esiste un’esasperata specializzazione legale e all'avvocato capita di spaziare in un ampio spettro di settori, può capitare che un giorno si occupi di cause d’eredità, un altro si tuffi nel penale e il giorno dopo affronti un contenzioso immobiliare. Sarà uno dei giovani avvocati che avvia il sistema legale liberale nel Paese.
La sua fama esplode nel 1999, quando diventa prima difensore d'ufficio, poi incaricato, di Attila Ambrus, meglio noto come "il bandito del whisky", divenuto celebre nell'Ungheria anni '90 per aver compiuto nell'arco di circa cinque anni una spettacolare serie di rapine, oltre 30, a banche e uffici postali. Guascone e gentiluomo, simpatizza con i derubati, per farsi coraggio è visto più volte tracannare un whisky in un bar nelle vicinanze del luogo della rapina.
Magyar accetta il caso nonostante sia altamente controverso, diventando una piccola celebrità al grande pubblico e inimicandosi le istituzioni, che vedono in Attila un simbolo di ribellione contro l'ancora fragile potere costituito. La sua difesa si concentra su quelle che diventeranno le caratteristiche del suo stile: l’umanizzazione e la grande visibilità mediatica attirata sul suo cliente. Magyar si adopera per sottolineare il passato difficile del suo assistito, cresciuto in un orfanotrofio in Transilvania, per far consentire all'imputato di rilasciare dichiarazioni, diritto che ottiene anche vincendo una causa contro il penitenziario e in generale per far ingigantire il caso sui media. Nonostante Ambrus fosse colpevole e reo confesso, oltre che protagonista di una rocambolesca evasione dal carcere di Buda di Bérkocsis utca (lo stesso di Ilaria) calandosi con una corda come nei romanzi, Magyar riesce a ottenere un processo equo e a fargli ottenere una condanna a "soli" 17 anni, facendo cadere le imputazioni per fatti di sangue nonostante le rapine fossero compiute a mano armata. La sua fama da allora non farà che crescere.
I media
Magyar diventerà negli anni a seguire un volto notissimo agli ungheresi, una vera e propria star del piccolo schermo, presenza quasi fissa di molti studi televisivi, dove non nasconde vestiti eleganti, tatto e ironia che bucano lo schermo. È chiamato per la sua fama, la competenza legale, ma anche per la grande passione che lo anima. Di sè ama raccontarsi con il detto americano "fa quello che ami ed ama quello che fai". Il presenzialismo esasperato genera polemiche, ma a chi gli fa notare che figura più in televisione che nelle aule dei tribunali risponde che la differenza è che la Tv si può spegnere e che se l'esibizionismo rimane entro una cornice sana può anche diventare una forma d'arte. Un "artista della vita", come dicono gli ungheresi.
Tibor Simon
Il suo successivo caso importante riguarda il calcio, altra sua grande passione. Il 21 aprile 2002, un allenatore del massimo campionato di calcio ungherese viene ucciso all'uscita di un pub da un buttafuori. La vittima è Tibor Simon, 36 anni, giovane allenatore del Sopron, che da calciatore era stato una delle colonne della difesa del Ferencváros negli anni '90, in campo nella Champions League 95/96 contro Ajax e Real Madrid, e con 16 presenze in Nazionale. Alla sua morte la sua maglia, la numero 2 dei biancoverdi, è stata ritirata. Qui il doc commemorativo della sua carriera.
Quella sera, dopo la partita di campionato contro l'Honved, non segue il pullman della squadra e resta a Budapest, mangia nel ristorante di sua proprietà a Hegedüs Gyula utca per poi andare in un locale nell'appena inaugurato centro commerciale Mammut, per un compleanno. Al momento di stappare lo spumante, bagna anche i vicini di tavolo. Ne nasce un alterco, poi una rissa, intervengono i buttafuori, li cacciano, ma la zuffa prosegue fuori dal locale. Simon muore due giorni dopo in ospedale per le conseguenze di un trauma cranico causato dai colpi riportati.
Magyar difende uno degli aggressori, János Hegyesi, il più chiacchierato perchè è anche un agente di polizia che lavora occasionalmente anche come guardia di sicurezza. La sentenza definitiva lo condannerà a soli 16 mesi, già scontati peraltro nella carcerazione preventiva. Secondo l'avvocato, l'imputato ha esercitato le sue funzioni in qualità di guardia di sicurezza del night club, ha scortato Tibor Simon e le persone coinvolte nella rissa fuori dal locale. Magyar dimostra che non è stato direttamente coinvolto nel pestaggio. L'avvocato però in questo modo si tira contro anche gli ambienti ultras e dell'estrema destra ungherese di cui diventa un bersaglio ricorrente, fino al caso Salis.
Ramil Safarov
Non si è mai tirato indietro nelle richieste che arrivavano dall'estero. Nel 2004 a chiamarlo è l'Ambasciata dell'Azerbaigian per difendere Ramil Safarov, un ufficiale dell'esercito, originario del Nagorno-Karabakh, a processo per aver ucciso con 26 colpi d'ascia il pari grado armeno Gurgen Margaryan. I due erano a Budapest per un corso di inglese di tre mesi nell'ambito del programma Nato Partnership for Peace.
La sera del 18 febbraio, dopo i corsi, Safarov si reca al vicino Tesco, il primo storico ipermercato di Budapest, dove compra un'ascia. All'alba del giorno dopo si avventa sul collega armeno sorprendendolo nel sonno e, mentre fuma due sigarette, lo decapita. Durante l'assalto sveglia il compagno di stanza, l'ungherese Balázs Kuti, ma lo rassicura che il suo odio è solo per l'armeno.
Non è un caso semplice, l'imputato non mostra alcun rimorso per quanto commesso, anzi, nel corso dell'interrogatorio si rammarica addirittura di non aver ucciso il secondo armeno presente al corso, che, insospettito, non gli aveva aperto la porta. Gli avvocati azeri del collegio di difesa insistono poi nel sostenere un giusto nazionalismo, dato che gli armeni avevano insultato la bandiera dell'Azerbaigian.
La difesa di Magyar punta invece a dimostrare la labilità psichica di Ramil scaturita dall'aver visto i suoi familiari uccisi davanti ai suoi occhi dagli armeni ai tempi delle guerra del Nagorno-Karabakh. Ramil credeva di compiere un dovere militare.
Il 16 aprile 2006 il tribunale condanna l'uomo all'ergastolo; ma è un caso internazionale che va oltre i tribunali. A fine agosto 2012 Ungheria e Azerbaigian raggiungono l'accordo per l'estradizione del condannato il quale, appena sceso dalla scaletta dell'aereo che lo riporta in patria, viene accolto come un eroe nazionale con tanto di consegna di un mazzo di fiori. Ramil ottiene in breve tempo la grazia dal presidente Ilham Aliyev, una promozione di grado, una casa nuova e otto anni di stipendio arretrati. l'Armenia interrompe le relazioni diplomatiche con l'Ungheria che riprenderà solo nel 2024. Budapest fatica a smentire le voci che erano circolate di estradizione in cambio dell'impegno azero ad acquistare tre miliardi di dollari in bond ungheresi.
I fanghi rossi di Ajka
Ma la carriera di Magyar lascia anche spazio per un grande impegno civile. Avvia molte cause di risarcimento contro lo Stato ungherese per le condizioni carcerarie in cui vesano i suoi assistiti. Nonostante i tanti tragici fatti di sangue, il caso per cui si dice piu scosso, per la morte di un bambino, è quello che riguarda gli eventi del 4 ottobre 2010, quando d'improvviso si apre una falla nel muro di contenimento dei rifiuti di lavorazione della bauxite della Magyar Alumínium Termelő és Kereskedelmi di Ajka, vicino Veszprém. Più di un milione di metri cubi di fanghi rossi altamente alcalini e tossici si riversano a valle sommergendo i comuni di Kolontár, Devecser e Somlóvásárhely. (un incidente assai simile al disastro della Val di Stava del 1985). La marea rossa raggiunge anche i due metri di altezza, entra nelle case e contamina i campi. È il più grande disastro ambientale ungherese del XXI secolo. Magyar vince la rappresentanza legale della maggior parte dei danneggiati, ma è molto chiacchierato per aver chiesto un onorario che arriva al 13% del rimborso, quasi il doppio di quanto chiesto dallo studio legale locale. Tuttavia, l’avvocato promette anche un rimborso maggiore, grazie ai suoi contatti politici.
La politica
La sua passione civile e il suo "sano esibizionismo" non potevano non sconfinare nella politica. Nel 1992 è tra i fondatori del Partito repubblicano ungherese, di ispirazione liberal conservatrice, che strizza l'occhio ai repubblicani statunitensi. Il partito ottiene il 3% alle parlamentari del ‘94, ma non supera lo sbarramento per l'ingresso in parlamento. Nello stesso anno Magyar si candida anche a sindaco di Budapest, sfidando Gábor Demszky, (il giovane liberale che siederà ininterrottamente alla Városháza per 20 anni, dal 1990 al 2010), ma prende solo qualche migliaio di voti. Il partito si scioglie nel ‘98, vittima della grande volatilità della politica ungherese. Non sorprende però che Magyar si ripresenti alle politiche 20 anni dopo, quando viene chiamata a raccolta la società civile nel tentativo di contrastatare lo strapotere di Orbán.
Nel 2018 è il vicepresidente del Movimento Ungheria per Tutti di Péter Márki-Zay, il candidato premier delle opposizioni, e si presenta nell'uninominale nel collegio n.4 della contea di Somogy, quella di Siófok e Zamárdi, dove ha una villa. Al centro del suo programma il ripristino dello stato di diritto, la correzione delle storture introdotte in costituzione da Orbán, la riforma del finanziamento dei partiti. Tutte questioni che richiedono l'azione di un legale esperto, dice. Ma è l'ennesimo anno in cui Orbán ottiene una vittoria schiacciante, conquistando, nuovamente, oltre il 90% dei collegi al di fuori della capitale e anche Magyar cede le armi contro Mihály Witzmann, il candidato di Fidesz.
Investigatore privato - l'omicidio Irma Balla
Non ci sarà la quarta udienza del caso Salis. Ilaria verrà eletta deputata al Parlamento europeo e otterrà la conseguente immunità. È un successo. Poco importa se non vedremo la conclusione di un processo che già aveva vissuto i suoi primi colpi di scena, con la difesa che smonta il primo teste portato dall'accusa, una delle vittime delle aggressioni. Per l'accusa i colpi inferti alla testa e al costato erano potenzialmente letali, ma Magyar scova che l'offeso poco dopo era già a praticare il suo amato tiro con l'arco. Il suo principio è che se il pubblico ministero ha una forza di polizia, allora anche la difesa deve munirsi di un investigatore privato; non a caso è presidente onorario dell'Associazione degli investigatori ungheresi.
L'uso più spettacolare delle sue indagini private lo fa nel nel 2017, quando riesce a far assolvere, dopo una condanna in primo grado a 12 anni, Sándor Schönstein, un 28enne sfaccendato accusato dell'omicidio della madre, Irma Balla. Un caso che aveva avuto ampia risonanza nazionale dato il risvolto politico: la vittima era una consigliera comunale di Fidesz al comune di Debrecen e in aula alle udienze era stato presente anche Lajos Kósa, il plenipotenizario di Orbán nella regione.
Irma era stata aggredita in piena notte, nella propria casa, mentre il figlio era fuori per bagordi con amici. Senza chiavi di casa, il giovane aveva dormito nel seminterrato e aveva avvisato la polizia solo dopo quasi 24 ore dal decesso, apparendo troppo calmo all'arrivo delle forze dell’ordine e cadendo in contraddizioni. Magyar evidenzia la trascuratezza del lavoro della procura e i buchi nella ricostruzione della scena del delitto, ma soprattutto le sue indagini parallele portano all'individuazione del vero colpevole, D. Lajos, un poco di buono che aveva lavorato per soli tre giorni nel cantiere accanto alla casa dove era avvenuto il delitto, da dove poteva spiare Irma e penetrare in casa senza essere visto dalla strada.
Una vita a colori
Un "sano" esibizionismo può far sbocciare anche un valente scrittore. Magyar è l'autore di un libro sorprendente, edito nel 2012, dal titolo "A védő" (il difensore). Si tratta di una serie di racconti in parte ispirati ai suoi casi affrontati in tribunale, in parte di fantasia, in cui si muovono personaggi che vengono dal mondo dell'alta borghesia budapestina e in cui sembra anche di intravedere Magyar stesso: gente che si è fatta da sè appena ne ha avute le possibilità, siano essi chirurghi plastici, odontoiatri o avvocati, accumulando grandi conti in banca, macchine sportive, vini costosi, aerei per Tenerife e ville sul lago Balaton. Personaggi che poi vengono coinvolti in ricatti di prostitute, figli inetti, intrighi con la malavita. Un mondo di finzione eppure molto reale dove emergono le contraddizioni della vita, quelle che portano a commettere i crimini affrontati da Magyar in tanti anni di carriera. Come scrive nella prefazione, una vita mai in bianco o nero, ma una vita “a colori”.