Le avventure dei Grabiński
di Lorenzo Berardi
Quando Lucio Dalla cantava che “nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino”, dimenticava forse l’area fra via Lame e via Nazario Sauro. Uno spicchio di centro storico sventrato dal fascismo negli anni ‘30 e poi in parte ricostruito dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Proprio qui, dove segmenti di strade si incuneano come canyon fra mastodontici fabbricati di assicurazioni anneriti dallo smog, si trova via Giuseppe Grabinski.
Il forestiero sperduto lo ignora, ma si tratta dell’unica via del centro di Bologna intitolata a una persona originaria della Polonia. Un onore che non spetta al fu studente di Diritto canonico al locale ateneo Niccolò Copernico o ad Adam Mickiewicz, ai quali sono dedicati una via e una piazza di periferia. Quanto a Fryderyk Chopin, Maria Skłodowska-Curie, Wisława Szymborska, Ryszard Kapuściński e al Secondo corpo d’armata polacco decisivo nella liberazione cittadina il 21 aprile 1945, essi neppure rientrano nell’odonomastica felsinea.
A dispetto del nome italianizzato, questo Giuseppe Grabinski, definito “combattente per la libertà” nel segnale nome-strada, nacque in Polonia e fu di madrelingua polacca. Le sue peripezie degne del ‘Barry Lyndon’ di Thackeray e Kubrick, così come quelle dei suoi discendenti, si intrecciano con eventi e personaggi storici fra i principali degli ultimi tre secoli. E quindi i contorni di questa storia escono dal quadretto bolognese per dipingere una veduta mitteleuropea. Una tela che inizia a delinearsi a Varsavia.
Giuseppe Gioacchino: insurrezionalista, generale, donnaiolo
Józef Joachim Grabiński vi nasce nel 1771 – non nel 1767 come riportato sulla targa della via bolognese – da una famiglia di nobile lignaggio. Appena ventenne si arruola in un reggimento di fanteria del Granducato di Lituania e tre anni dopo partecipa all’Insurrezione polacca del 1794 contro gli invasori russi, ispirata da Tadeusz Kościuszko. Il giovane colonnello Grabiński difende con successo Wilno (oggi la capitale lituana Vilnius), ma la rivolta fallisce, con un epilogo a tinte fosche in un odierno quartiere di Varsavia, sulla sponda orientale della Vistola. Qui il 4 novembre 1794 si combatte la Battaglia di Praga, vinta dai russi, e conclusasi con il massacro di migliaia di civili. Grabiński, come Kościuszko, è incarcerato a San Pietroburgo, mentre la Polonia viene spartita fra russi, austriaci e prussiani e deve rimandare al 1918 il ritorno all’indipendenza.
Dopo due anni di prigionia sulla Neva, Grabiński esce dalle russe galere, ma non fa in tempo a riassaggiare la libertà che subito contrae debiti di gioco. Così, un po’ per rinfocolare il proprio ardore patriottico, un po’ per stringenti necessità economiche si arruola nella Legione polacca della Grande Armée napoleonica. La guida Jan Henryk Dąbrowski, quello stesso Dąbrowski protagonista del ritornello dell’odierno inno nazionale polacco. Assieme alle truppe francesi, Grabiński combatte in Italia e in Egitto, divenendo generale e ottenendo la Legion d’Onore. Poi, nel 1808, si stufa dei rischi insiti nella carriera militare e si trasferisce a Bologna, città della quale serba piacevoli ricordi legati ai suoi postriboli e a certe sue conquiste galanti.
È un periodo turbolento per la città felsinea e il territorio circostante, infestato da bande di briganti. Nel 1809 si pone allora proprio l’ex generale Grabiński a capo degli uomini incaricati di debellare la piaga del brigantaggio dalle campagne fra il bolognese, il ravennate e il ferrarese. Compito che egli svolge egregiamente, ottenendo la gratitudine dei governanti locali e l’invito a stabilirsi per sempre in città. Colui che nel frattempo ha italianizzato il suo nome in Giuseppe Gioacchino Grabinski, accetta volentieri. Uomo colto, poliglotta ed elegante, acquisisce nelle cronache mondane la reputazione di donnaiolo. Che sia vera o fasulla, di certo scandalizza i bolognesi sposando la contessina Marianna Broglio, la quale potrebbe essere sua figlia, vista la differenza di 25 anni fra i due.
Nel frattempo, Giuseppe Gioacchino compra terreni agricoli, capi di bestiame e villa Ghisleri, una residenza fortificata del XV secolo a San Martino in Argine, paesino della Bassa a pochi chilometri da Bologna, dove si stabilisce. Divenuto un gentiluomo di campagna iscritto alla locale Società Agraria, Grabinski coltiva i suoi interessi di possidente terriero, bibliofilo, collezionista e tombeur de femmes, con frequenti scappatelle galanti a indispettire la moglie. Nella primavera del 1831, in occasione dei moti contro lo Stato Pontificio originati da sommosse popolari a Bologna, Ancona e Perugia, l’effimero governo delle Provincie Unite Italiane gli affida il comando delle truppe insurrezionali. L’anziano condottiero accetta, ma i propri mal equipaggiati uomini sono sconfitti dalle milizie pontificie, e lui ripara in esilio a Parigi per evitare altre prigioni.
Rientra a Bologna dopo sei mesi, con la garanzia di non potervi essere arrestato grazie alla protezione garantitagli dalle autorità francesi, visti i suoi valorosi trascorsi presso l’esercito napoleonico. Divenuto uno “straniero con casa nello Stato Pontificio”, come recitano i documenti dell’epoca, il “Cavalier Generale Giuseppe Grabinski” si defila dalla politica e vive negli agi della propria villa di via San Vitale 124 a San Martino in Argine fino alla morte, il 25 agosto 1843. Lo seppelliscono alla Certosa di Bologna in un loculo provvisorio; poi le sue spoglie sono traslate nella monumentale cappella di famiglia realizzata nel medesimo cimitero.
Enrico: possidente terriero in cerca di prestigio
Dal matrimonio fra Giuseppe Gioacchino e Marianna Broglio arrivano quattro eredi, ma solo due di loro raggiungono la maggiore età: Carlo ed Enrico. Quest’ultimo, nato nel 1815, è il figlio maggiore della coppia e colui che comincia a mettere a frutto i possedimenti paterni grazie al ricorso a moderne tecniche agricole e d’allevamento. Enrico ha ambizioni altolocate. Sposa Sofia Potenziani, rampolla di una nobile famiglia reatina, e nel 1858 acquista da Elisa Napoleona Baciocchi il prestigioso palazzo Ruini-Ranuzzi, ex dimora del principe Felice Baciocchi, vedovo di Elisa Bonaparte, sorella di Napoleone.
Per il figlio di un ex generale dell’esercito napoleonico pare la perfetta chiusura di un cerchio. Purtroppo Enrico riesce a vivere dietro quella facciata disegnata dal Palladio, in quei saloni cinquecenteschi fra affreschi, mobilio in mogano, tappeti e vasi orientali soltanto per dodici anni, morendo nel 1870. Anch’egli viene tumulato nella Cappella Grabinski, accanto alla statua marmorea del padre. La moglie Sofia, “donna di alti spiriti”, viene chiamata “Grabinska” nell’epigrafe posta vicino al sepolcro del marito, sotto a un proprio busto. Eppure sarà il suo cognome, Potenziani, a sopravvivere nei futuri eredi maschi.
Stanislao: imprenditore del brodo in polvere
Un anno prima della dipartita di Sofia Grabinska Potenziani, il 26 agosto 1897, una richiesta per l’utilizzo del seguente marchio di fabbrica viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia:
Una etichetta rettangolare ornata da fregi, nel di cui centro vedesi la figura di una scatola cilindrica semi-aperta donde emerge la testa di un gallo; nel centro di detta scatola leggonsi le iniziali G.G., al disopra Marca di Fabbrica e al disotto Depositata. Attraversa obliquamente la scatola medesima la firma: Stanislao Grabinski & C°, Bologna. Questo marchio sarà usato dalla Ditta richiedente per contraddistinguere le carni conservate di sua fabbricazione e commercio, applicandolo sulle scatole che la contengono.
L’azienda alimentare appartiene a Stanislao, figlio di Enrico e Sofia, nato a Bologna nel 1857. Ultimo di quattro fratelli e tre sorelle (due delle quali morte in tenera età), Stanislao ha fondato la ditta da poco e possiede uno stabilimento in via fuori porta Sant’Isaia 74, l’odierna via Andrea Costa. Il capitale non gli manca, poiché i Grabinski hanno nel frattempo venduto Palazzo Ruini-Ranuzzi al Comune di Bologna. Inoltre, nel 1903 Stanislao mette all’asta i beni ereditati dalla sorella Maria Anna, fra i quali “mobili di ogni epoca, bronzi, lampadari, argenterie, vasi della China, merletti, biancheria”. Reinveste poi i proventi nella Società Grabinski & C. che, tre anni dopo, dispone di un “frigorifero di una certa importanza” nello stabilimento di Borgo Panigale, località sulla via Emilia oggi divenuta quartiere di Bologna nei pressi dell’aeroporto.
In questo periodo, la ditta di Stanislao si aggiudica numerose medaglie d’oro a varie esposizioni, grazie alla sua specialità: il preparato per brodo in scatola. L’imprenditore intuisce l’importanza del marketing e non lesina spese in questa direzione. Affida al pittore e illustratore Luigi Bompard - habitué alla Biennale di Venezia - la realizzazione di poster pubblicitari che decantano le virtù dei suoi prodotti con raffinata grafica Art deco. Il preparato Grabinski viene definito “superiore per gusto a tutti i brodi in commercio”, “indispensabile ai villegianti” (sic!) e “in vendita presso i migliori salsamentari e droghieri delle principali città d’Italia”. Un’altra reclame dell’epoca assicura come con i preparati Grabinski si possa imbandire una tavola "improvvisamente e dovunque", anche senza saper cucinare.
Nel momento del suo maggiore successo, la ditta offre un menu di 67 prodotti in scatola. Si va da piatti della tradizione bolognese come ragù per minestra, vitello tonnato e spezzatino con piselli a ghiottonerie dell’epoca quali la lingua salmistrata e gli uccelletti alla cacciatora, sino a un esotico filetto al Madeira. E poi il listino comprende scatolette di pollo al naturale con gelatina e cinque varianti di manzo: ‘Arrosto’, ‘Uso militare’ (con o senza chiavetta d’apertura), ‘Sport’ (con insalata di fagiolini), ‘Alpinista’ (con salsa di pomodoro) e ‘Touring Club’ (con salsa piccante). Etichette e abbinamenti sagaci permessi anche da un igienico sistema di sterilizzazione dei barattoli.
Soltanto l’avvento della Prima guerra mondiale interrompe l’ascesa della Grabinski & C. Le maestranze dell’azienda bolognese vengono arruolate dal Regio Esercito italiano come operai per produrre scatolame da destinare alle truppe al fronte. Grazie a loro e ai macchinari a cui sono avvezzi, dallo stabilimento militare di Casaralta, accanto al quartiere della Bolognina, dove oltre al reparto per la produzione di carne in conserva, vi sono un mulino, un panificio e una cella frigorifera, escono 250mila scatolette al giorno. A conflitto concluso, il preparato per brodo e le “carni conservate in scatole inalterabili” Grabinski spariscono dagli scaffali e dai rotocalchi, mentre si affermano la svizzera Maggi e la milanese Sada (poi Simmenthal). Nel ’25 con la morte del patron Stanislao cala il sipario sull’azienda felsinea.
Ludovico: principe, fascista, monarchico
L’epopea militare, politica e imprenditoriale bolognese dei Grabinski termina qui, anche se non si può escludere che loro discendenti restino in città. Il ramo principale della famiglia, prosegue con Ludovico, nato a Rieti nel 1880, pro-nipote di Giuseppe Gioacchino e figlio di un fratello di Stanislao, il senatore Giovanni Antonio Potenziani. Questi ha abbandonato legalmente il cognome Grabinski nel 1887 e si è interessato anch’egli di industria alimentare, promuovendo la coltivazione intensiva della barbabietola da zucchero e costruendo il primo zuccherificio italiano nel reatino, dove si è trasferito.
Al pari del padre, Ludovico Spada Veralli Potenziani, principe di Castel Viscardo, rinuncia a chiamarsi Grabinski, optando per gli aristocratici cognomi di madre e nonna. Studia presso la Pontificia Accademia Ecclesiatica di Roma e diviene a sua volta senatore del Regno d’Italia dal ‘29 al ‘43, oltre che governatore della Città Eterna per un biennio, in quanto alto papavero del Partito nazionale fascista. Una carriera politica nella quale un cognome straniero sarebbe stato d’intralcio negli autarchici anni mussoliniani. Nel Dopoguerra, Ludovico tenta un ritorno in politica, candidandosi alle parlamentari del ’53 con il Partito nazionale monarchico, ma senza venire eletto. Scompare nel ‘71 alla veneranda età di 90 anni. E pare al tempo stesso coerente e incoerente con la parabola familiare che il pro-nipote del capostipite generale napoleonico e “combattente per la libertà” sia stato prima fascista e poi nostalgico sostenitore di Casa Savoia.
Epitaffio: la Cappella Grabinski
Oggi le vicende dei Grabinski a Bologna sono poco note. E chissà quanti si interrogano su chi fosse quel misterioso Giuseppe Grabinski al quale è intitolata una via del centro senza lode. Tuttavia, l’importanza politica e culturale della famiglia d’origine polacca resta tangibile in un luogo che merita una visita: il cimitero monumentale della Certosa. Proprio qui, al numero 11 della Loggia di Levante, si trova la Cappella Grabinski progettata dall’architetto Giuseppe Mengoni, l’artefice della Galleria Vittorio Emanuele II di Milano. La cappella neoclassica da lui ideata ospita la statua in marmo del Generale Grabinski scolpita da Carlo Chelli.
Nella sua nicchia, la statua raffigura un giovane Giuseppe Gioacchino in posa da eroe dell’antica Roma con toga, daga e vessillo. Accanto ad essa si trova l’epigrafe dedicata al figlio Enrico. È questo complesso funebre, assieme alla non visitabile villa Ghisleri di San Martino in Argine e al Palazzo Ruini-Ranuzzi ora sede della Corte d’appello, l’unica eredità visibile lasciata da tre generazioni di Grabinski a Bologna. Di tanto in tanto, nei mercatini dell’usato o nelle vendite online sbucano poster e cartoline ingiallite che elogiano l’impareggiabile brodo di Stanislao Grabinski.
Una mirabile descrizione della Cappella Grabinski si trova in questo articolo di Fluttuando sulle Linee, sito che nel 2020 ha dedicato un interessante approfondimento alla figura di Giuseppe Gioacchino Grabinski rivelatosi prezioso nella stesura della prima parte di questo longform.