Le mani di Orbán sui media
di Lorenzo Berardi
«Se avessimo una maggioranza assoluta, potremmo fare come Viktor Orbán. Vogliamo costruire un panorama mediatico simile a quello ungherese». Sono frasi pronunciate dall’ex leader del Partito della libertà austriaco (Fpö) ed ex vice-cancelliere Heinz-Christian Strache nel video scandalo diffuso il 17 maggio da Spiegel e Süddeutsche Zeitung e risalente all'estate 2017. Alla sua interlocutrice, presunta nipote di un oligarca russo, Strache raccomandava l’imprenditore Heinrich Pecina che nel 2016 aveva rilevato e chiuso con il benestare del governo Orbán il quotidiano d'opposizione magiaro Népszabadság. Il desiderio di controllare l’informazione in Austria è costato caro a Strache, dimessosi dai suoi incarichi, e al cancelliere Sebastian Kurz sfiduciato dal parlamento di Vienna il 27 maggio proprio grazie ai voti decisivi degli ex alleati di Fpö.
Oggi il simbolo dello stretto rapporto fra stampa e potere politico in Ungheria che qualcuno avrebbe voluto replicare in Austria è una fondazione istituita nel novembre 2018. Si chiama Kesma, acronimo che in ungherese sta per Fondazione centro-europea della stampa e dei media. Raggruppa circa 500 organi d’informazione, dalla carta stampata al web passando per radio e televisione, donati dai loro proprietari. La presiede Gábor Liszkay un fedelissimo del premier Viktor Orbán e che in passato ha guidato Magyar Idők, quotidiano confluito nella fondazione con il suo nuovo nome, Magyar Nemzet.
Fra gli editori entrati a far parte di Kesma vi è Opimus Press guidata da Lőrinc Mészáros, imprenditore amico di Orbán sin dall’infanzia, che detiene la maggior parte delle testate locali magiare. Presenti inoltre altri nomi noti del panorama mediatico nazionale quali i portali di notizie Origo e 888, il settimanale Figyelő, il tabloid Ripost, le emittenti Hír Tv e Echo Tv oltre a una miriade di stazioni radio, televisive e portali di notizie sul web. Un decreto del governo ha definito la fondazione di “importanza strategica nazionale”, esentandola in quanto tale dai controlli della Gvh, l’Agcom ungherese.
Libertà di stampa in pericolo
Kesma è un chiaro esempio di concentrazione mediatica che ha reso ancora più evidente la disparità di forze esistente fra i media indipendenti e quelli vicini all’attuale governo magiaro. Un recente rapporto del think tank Mérték Media Monitor stima che a fine 2017, un anno prima della creazione della fondazione, il 77,8% degli introiti del mercato dell’informazione ungherese appartenessero a media filo-governativi. Fra di essi, vi è anche la televisione pubblica Mtva, da tempo schierata a favore del partito di governo, Fidesz, e al centro delle proteste di piazza del dicembre 2018 a Budapest quando venne circondata da migliaia di manifestanti che ne invocavano l’indipendenza.
Da allora Mtva non è cambiata. Nell’aprile di quest’anno, invece, l’Ungheria si è dotata di un’agenzia di notizie in inglese pro-Orbán, V4NA. Ha sede a Londra ed è stata registrata dall’ambasciatore magiaro nel Regno Unito, Kristof Szalay-Bobrovniczky, il quale ha poi ceduto il 57% delle proprie quote a New Wave Media Group, un editore che fa parte di Kesma.
Che la situazione per l’indipendenza dei media nel Paese sia grave lo dimostrano anche i due principali rapporti annuali sulla libertà di stampa nel mondo. Il primo, pubblicato da Freedom House, evidenzia come dal 2012 i media magiari siano solo “parzialmente liberi”, mentre dal 2009 a oggi l’Ungheria è passata da 21 a 44 su una scala in cui zero rappresenta la completa libertà di stampa e 100 la censura. Persino peggiore è la fotografia scattata dal World Press Freedom Index di Reporter senza frontiere. Nell'edizione 2019, l’Ungheria risulta 87esima al mondo per libertà di stampa, 31 posizioni in meno rispetto al 2013.
L’inizio di questo declino risale al gennaio 2011, durante il secondo governo Orbán, quando entra in vigore una controversa legge sull’informazione. Il testo istituisce un Consiglio dei media di cinque membri scelti dal parlamento e il cui presidente ha l’incarico di nominare i vertici della radiotelevisione pubblica. «Di sicuro quella legge ha reso le cose più difficili per i giornalisti ungheresi, soprattutto dal punto di vista legale, ma oggi non abbiamo una vera e propria censura e quindi non possiamo ancora paragonarci alla Russia» conferma a Centrum Report Sándor Orbán, direttore del Centro per il giornalismo indipendente di Budapest (Cij) e nessuna parentela con il premier magiaro. «Lo spazio per il giornalismo indipendente si è ridotto parecchio a partire dal 2011. Diversi media indipendenti o critici nei confronti di Orbán sono stati fatti chiudere o acquisiti da imprenditori vicini al governo mentre gli organi d'informazione riuniti in Kesma sono un'arma politica a tutti gli effetti», ci ribadisce András Pethő, reporter e co-fondatore del centro di giornalismo investigativo Direkt36.
Dopo anni di chiusure o acquisizioni da parte di imprenditori filo-governativi di quotidiani e periodici, stazioni radio e televisive, oltre a siti di notizie sul web, oggi i media indipendenti di rilevanza nazionale in Ungheria si contano sulle dita di una mano. Atlatszo, Direkt36, Index e 444 sono gli esempi più noti al pubblico internazionale grazie al fatto di pubblicare alcuni dei loro reportage anche in inglese. A Budapest, inoltre, opera il Centro per il giornalismo indipendente (Cij) che dal 1995 fornisce supporto tecnico, economico, organizzativo e legale a reporter intenzionati a coprire temi che non troverebbero spazio sui media tradizionali.
Le mani del governo sui media
Ma facciamo un passo indietro. La riduzione dei media indipendenti nel Paese a vantaggio di quelli fedeli alla linea del governo ha origini precedenti al 2011. Secondo Sándor Orbán «due fattori collegati fra loro stanno uccidendo il giornalismo indipendente in Ungheria: la distorsione del mercato pubblicitario e la concentrazione dei media nelle mani di oligarchi filogovernativi». Eppure fino a poco tempo fa il panorama mediatico ungherese era assai più variegato di quello odierno.
A partire dagli anni '90 numerosi soggetti stranieri sono entrati nel settore dell’informazione. Tuttavia, la crisi finanziaria del 2008 ha fatto crollare le inserzioni pubblicitarie e cambiato il sistema tradizionale dei media convincendo molti di loro ad abbandonare un mercato che, con i suoi 10 milioni di utenti, era ritenuto poco remunerativo. Le compagnie straniere hanno quindi venduto le proprie quote nei mass media. Ad acquistarle sono stati imprenditori vicini al governo in un processo che si è completato di recente. Un esempio eclatante riguarda i 18 quotidiani locali del Paese. Fino a due anni fa erano tutti in mano a gruppi stranieri, ma a partire dall’agosto 2017, poco prima delle elezioni parlamentari dell'aprile 2018 stravinte da Fidesz con il 44,9% dei consensi, sono stati acquistati da oligarchi magiari pro-Orbán. Adesso fanno tutti parte di Kesma e pubblicano propaganda governativa.
Anche la distorsione del mercato pubblicitario aggravatasi negli ultimi due anni, è cominciata prima. Da quattro o cinque anni lo Stato ungherese è divenuto infatti il principale inserzionista pubblicitario dell'informazione. «E questo indirizza la pubblicità verso i media vicini al governo privandone quelli che lo criticano oltre a influenzare le compagnie pubblicitarie private. La maggior parte di esse sceglie di non acquistare spazi su testate distanti dalle posizioni governative», aggiunge il direttore del Cij.
Un’altra nota dolente riguarda il ruolo dell’emittente di Stato, Mtva. «Non esiste una radiotelevisione pubblica perfetta in nessun Paese post-comunista e neanche quella ungherese lo era, ma restava comunque accettabile», ricorda Sándor Orbán secondo cui «oggi Mtva trasmette al 100% propaganda governativa ed è peggiore della televisione di Stato serba e persino di quella russa». L'emittente pubblica non gode di un alto livello di credibilità in Ungheria, tuttavia in alcune aree rurali del Paese e presso le fasce più anziane della popolazione è ancora ritenuta una fonte attendibile di notizie.
Le sfide del giornalismo indipendente
In un simile panorama diviene sempre più arduo operare e sopravvivere economicamente per media critici nei confronti del governo. Molti di essi faticano a reperire i fondi necessari per sopravvivere, potendo contare solo sulle briciole del mercato pubblicitario e su occasionali finanziatori privati. Altri rischiano di passare di mano finendo nell’orbita filo-governativa con inevitabili ripercussioni sulla libertà di stampa dei propri giornalisti. András Pethő ha vissuto in prima persona una situazione di questo tipo, quando «nel 2015 assieme ad altri colleghi fui costretto a lasciare Origo, il sito d'informazione per cui scrivevo, perché eravamo sottoposti a una crescente pressione politica che ci impediva di lavorarvi».
Oggi Origo esiste ancora, ma fa parte di Kesma e ne adotta la linea editoriale. András e alcuni suoi colleghi, invece, hanno fondato Direkt36 dove continuano a fare giornalismo investigativo concentrandosi su storie e temi importanti, ma che trovano poco spazio sugli altri media. «Ci occupiamo dell'influenza della Russia in Ungheria o di come la famiglia del premier stia traendo vantaggi da appalti per lavori pubblici» spiega Pethő. I giornalisti di Direkt36 cooperano inoltre con il portale 444, che pubblica le loro storie, e con Vsquare, progetto di giornalismo sull’area Visegrád creato a Varsavia e al quale partecipano anche reporter polacchi, cechi e slovacchi. «Siamo agli inizi di questa collaborazione e abbiamo appena cominciato a conoscerci. Ritengo però che ci siano molti temi importanti da raccontare assieme dato che dobbiamo affrontare sfide simili», assicura Pethő.
Un giornalista freelance o un reporter investigativo che in Ungheria vuole raccontare storie ignorate dai media tradizionali oggi può farlo solo su una manciata di testate indipendenti. «Fra le sfide principali vi è la difficoltà a ottenere fonti governative per via del clima venutosi a creare. Ed è anche molto complesso raggiungere un pubblico ampio visto che il governo controlla una parte sempre maggiore del mercato dell'informazione», sottolinea Pethő che ha cominciato a occuparsi di giornalismo investigativo una decina d’anni fa quando c’era maggiore possibilità di pubblicare articoli di questo tipo. «Gli organi d'informazione indipendenti oggi operano in un ghetto mediatico e si rivolgono a persone già molto informate e contrarie all'operato del governo, senza riuscire a raggiungere la maggior parte della popolazione ungherese che vive in provincia e riceve propaganda governativa al 99%», gli fa eco il direttore del Cij di Budapest.
Futuro dell’informazione libera a rischio
Per giornalisti ungheresi che lavorano in media indipendenti come András Pethő, Szabolcs Panyi e Blanka Zöldi di Direkt36, Anita Komuves di Atlatszo o Zoltán Kovács di Index la sfida resta continuare a svolgere il proprio mestiere. Il rischio di subire condizionamenti politici o essere un giorno costretti a scrivere altrove è concreto. Basti pensare che appena quattro anni fa molti di loro lavoravano per testate nel frattempo fatte chiudere, come Népszabadság, o confluite in Kesma quali Origo e Figyelő.
«Tutti i media ungheresi indipendenti possono entrare nel mirino del governo e temo che questo fenomeno non sia terminato. La macchina di propaganda governativa li attacca diffondendo accuse false sul loro conto attraverso i propri organi d'informazione», conferma Pethő. E secondo Sándor Orbán il prossimo obiettivo da colpire per il governo potrebbe essere «il portale Index perché resta la testata non filo-governativa più importante e più influente del Paese». Anche l’ambiente che circonda il Cij di Budapest non è amichevole in quanto si tratta pur sempre di una Ong che riceve finanziamenti dall’estero «ma per il momento non ho ancora avvertito pressioni dirette o intimidazioni sul nostro lavoro anche se in questa situazione di governo semi-dittatoriale non possiamo essere certi di cosa accadrà in futuro», ammette il direttore del centro.
Sándor Orbán e András Pethő concordano sul fatto che i tribunali ungheresi, per il momento, restino sufficientemente indipendenti da tutelare i giornalisti del Paese e i loro diritti. Tuttavia, i timori per il futuro della libertà di stampa restano. Come sintetizza il direttore del Cij «con appena il 30-40% dei voti ottenuti da Fidesz il nostro premier sta raggiungendo i medesimi obiettivi in termini di consenso popolare e di controllo dell'informazione raggiunti da Erdoğan in Turchia e da Putin in Russia. E senza dovere neppure imprigionare i propri oppositori. Ha un piano molto chiaro su come smantellare la democrazia e su come indirizzare l'Ungheria nella direzione da lui voluta». Il 52,6% dei consensi riscossi da Fidesz alle elezioni europee del 26 maggio indica quanto questa strategia sta pagando.
Sul tema della libertà di stampa e del giornalismo d’inchiesta leggi anche L'eredità investigativa di Ján, il nostro longform dedicato ai centri creati da reporter investigativi in Slovacchia e Repubblica Ceca.