Václav #42

23 novembre - 8 dicembre

Edizione molto ricca di Vacláv. Parliamo del tallone d’Achille della regione, la sanità, messa a dura prova dalla pandemia. Torniamo sul veto polacco-ungherese al Recovery Fund, proprio alla vigilia di un importantissimo Consiglio europeo, che potrebbe risolvere lo stallo o allargare il fossato. Spazio poi al caso di József Szájer in Ungheria, alla “ripolonizzazione” del settore stampa e alla memoria di un grande gesto storico quale l’inginocchiamento di Willy Brandt davanti al memoriale delle vittime del Ghetto di Varsavia. In Slovacchia, qualche novità sull’omicidio Kuciak. In Repubblica Ceca, occhio alla nuova riforma fiscale.

Buona lettura!


Il buco nero della sanità

I Paesi di Visegrád (V4) avevano retto bene l’urto della prima ondata della pandemia da coronavirus, con chiusure puntuali e misure chiare. Con la seconda è andata diversamente. Tassi di contagio e di vittime tra i più alti in Europa, sbandamenti politici, sistemi sanitari fortemente sotto pressione. E su quest’ultimo punto, in apertura di notiziario, vogliamo soffermarci. Il coronavirus è diventato lo specchio, cinico e crudele, dei problemi strutturali degli ospedali dell’Europa Centrale. Uno dei motivi sta nel livello di investimento che i governi effettuano nel comparto sanità. In tutto il quartetto, la quota di Pil destinata al settore è inferiore alla media europea, pari al 9,9%. La Repubblica Ceca, con il 7,7%, è il Paese del V4 più “generoso”. La Polonia, con il 6,3%, il fanalino di coda.

A rendere drammatico un quadro già serio c’è lo svuotamento dei reparti degli ospedali. I camici bianchi emigrano nell’Europa occidentale alla ricerca di salari e condizioni di lavoro migliori: un fenomeno iniziato nel 2004, al momento dell’adesione di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia all’Unione europea, e mai rallentato. Durante la pandemia la carenza di personale ha comportato enormi problemi.

I dati parlano chiaro. Nel rapporto tra medici e popolazione, l’Europa Centrale è indietro rispetto alla media europea (3,6 medici per mille abitanti), evidenzia Health at a Glance: Europe, rapporto della Commissione europea sulla sanità nell’Unione del novembre 2018. La Polonia risulta il peggior Paese europeo, con 2,4 medici ogni mille abitanti. L’Ungheria ne ha 3,4. La Slovacchia 3,5, ma il dato comunicato è sovradimensionato, perché tra il personale – si legge in nota al grafico – figurano anche manager e ricercatori. La sola eccezione è quella della Repubblica Ceca, che registra un dato equivalente (3,7). Praga, nel corso degli anni, ha compensato l’emigrazione dei suoi medici con l’arrivo di quelli dall’Ucraina o dalla Slovacchia, che ha perso il 25% dei propri medici dal 2004. Di recente, c’è da segnalare che il governo ungherese ha varato un aumento sostanzioso degli stipendi dei medici, proprio per frenare l’emorragia. Diventa inevitabile, davanti a questi dati, porsi una domanda. Spesso i leader del V4 dipingono la loro regione come la nuova avanguardia d’Europa, il quadrante dove si scrive il futuro dell’Ue. Ma può il futuro passare da sistemi sanitari così deboli?

Ungheria: militarizzazione del Covid-19 e vaccino russo
Proseguiamo con le notizie sul coronavirus dai Paesi V4 partendo dall’Ungheria, dove negli ultimi giorni si sono registrati il maggior numero quotidiano sia di nuovi contagi (6819, il 29 novembre) che di vittime (193, il 5 dicembre) dall'inizio della pandemia. E questo nonostante il Paese abbia chiuso le proprie frontiere il 1° settembre. La situazione negli ospedali resta molto complessa. Ben 93 sono attualmente gestiti dall'esercito: una delega con cui il governo cerca di mettere una pezza. Esercito schierato non solo negli ospedali, ma anche nelle strade. Quelle di Budapest sono pattugliate da militari in tenuta anti-terrorismo per far rispettare il coprifuoco, che parte alla 20 e dura fino alle 5, riporta Hungary Today. Le misure restrittive andranno avanti fino all’11 gennaio. Niente festeggiamenti per capodanno, quindi.

Intanto, i pochi media indipendenti del Paese lamentano l’impossibilità di accedere ai riparti Covid-19 e dunque, il mancato racconto in diretta del lavoro quotidiano di medici e infermieri. Il sito di notizie Telex ha inviato 225 domande in merito al governo, senza ricevere risposte.

Ungheresi e polacchi sono in più scettici, in tutta l’Ue, sulla scelta di immunizzarsi contro il Covid-19: solo il 56% di loro lo farebbe, rivela un recente sondaggio Ipsos.

L’Ungheria fa discutere anche sul vaccino. È l’unico Paese Ue che ha acquistato dosi dello Sputnik V, prodotto in Russia. Da questa settimana sarà possibile preordinarle, registrandosi su un apposito sito web, riferisce il Budapest Times.  Budapest motiva la sua scelta, controcorrente, mettendola sul piano dei tempi. Lo Sputnik V è già disponibile, contrariamente ai vaccini di Pfizer e Moderna, su cui ha investito la Commissione Ue. Che critica Budapest, facendo notare che il vaccino russo non è ancora stato approvato dall'Agenzia europea per i medicinali (Ema). Ma è la stessa legislazione europea a consentire a un Paese membro di comprare vaccini non vagliati dall’Ema in situazioni di emergenza. Una falla normativa evidenziata da Politico. L’Ungheria ne approfitterà, ma dovrà assumersi la completa responsabilità delle proprie azioni, ha dichiarato una fonte di Bruxelles. Resta da capire se gli ungheresi vorranno vaccinarsi. Oggi sono i più scettici in Europa - assieme ai polacchi - sulla scelta di immunizzarsi contro il Covid-19: solo il 56% di loro lo farebbe, rivela un recente sondaggio Ipsos rilanciato da Kafkadesk.   

Resto del V4
La curva in Polonia continua la sua lenta discesa dopo il picco dei 32733 contagi del 24 novembre (oltre un milione quelli dall’inizio dell’epidemia), ma rimane ancora preoccupante il dato sui decessi. Ormai da tre settimane oscillano tra i 500 e i 600 al giorno. Nei giorni scorsi il governo ha firmato contratti con le case farmaceutiche Pfizer/BioNTech, Johnson&Johnson e AstraZeneca per un ordine iniziale di 45 milioni di vaccini. Le vaccinazioni saranno gratuite e su base volontaria. Si inizierà con il personale medico e socio-sanitario, e con gli over 65. Obiettivo: raggiungere l’immunizzazione del 70-80% della popolazione. Da Notes from Poland.

In Repubblica Ceca finalmente la curva scende, e riaprono pub, ristoranti e scuole. La Slovacchia resta il Paese del V4 meno colpito dal virus. Impone però limiti sugli ingressi dall’estero.

Anche la Repubblica Ceca, per settimane il Paese europeo più colpito dalla pandemia, insieme al Belgio, sta uscendo dalla fase più critica. Il 3 dicembre sono stati riaperti pub e ristoranti, pur se con limiti sul numero di clienti ammessi. Cade inoltre il divieto sul consumo di alcool all’aperto. E da ieri hanno riaperto le scuole. Prevista comunque l’alternanza tra didattica in presenza e a distanza. Mascherina obbligatoria per tutti gli studenti, quando saranno in classe. Riepilogo su Politico.  Chiudiamo con la Slovacchia, che resta uno dei Paesi Ue più virtuosi nel contenimento della pandemia. Ma il governo avverte: la curva dei contagi potrebbe salire, e per il periodo natalizio è possibile una stretta sulle misure di contenimento attualmente in vigore. Si pensa anche a un nuovo test di massa con tamponi antigenici, sulla falsa riga di quelli avvenuti nelle scorse settimane, scrive lo Slovak Spectator. Da ieri l’ingresso in Slovacchia è consentito solo a chi presenterà la certificazione sul tampone, effettuato prima di entrare nel Paese.




Veto o non veto?


Giovedì e venerdì si terrà a Bruxelles, in presenza, il Consiglio europeo. Sarà una due giorni decisiva per il Piano di rilancio. Fari puntati su Polonia e Ungheria, i ribelli che minacciano con il loro veto di farlo saltare. L’origine dell’irrigidimento è nota. Budapest e Varsavia si oppongono al meccanismo sul rispetto dello stato di diritto di recente introduzione: la condizione necessaria per l’erogazione di fondi strutturali e risorse del Piano di rilancio. Per l’asse ungherese-polacco il meccanismo è discrezionale, pensato apposta per punire i due Paesi e contrario ai Trattati Ue.

L’Ungheria resta ferma, sul veto. «Non abbiamo bisogno degli aiuti del Recovery Fund. È sbagliato dire che sarebbe un grosso problema per noi rimanerne fuori. Si tratta comunque di prestiti che vanno ad aumentare il debito pubblico», ha detto Viktor Orbán a Radio Kossuth il 4 dicembre, nel tradizionale intervento radiofonico del venerdì (Ansa Nuova Europa). Meno netta la posizione polacca. Sono emersi alcuni distinguo all’interno del governo, anche se il primo ministro Mateusz Morawiecki ha confermato che la postura non cambia. Né varia quella della Commissione europea. Ursula von der Leyen ha invitato Ungheria e Polonia a rivolgersi alla Corte di giustizia dell’Ue, qualora continuassero a pensare che il meccanismo sullo stato di diritto non sia compatibile con i Trattati.

Ungheria e Polonia arrivano al vertice europeo del 10-11 dicembre agitando ancora il veto al Piano di rilancio. Lo spettro del mancato trasferimento di risorse Ue preoccupa i sindaci polacchi. «Senza, rimaniamo al buio», dicono.

Davanti allo spettro del mancato arrivo di risorse Ue, una cinquantina di comuni polacchi, compresi Varsavia e Cracovia, hanno intrapreso un’iniziativa di protesta. Per un’ora, hanno lasciato spente le luci che illuminano palazzi e monumenti storici. «Abbiamo voluto mostrare che senza quei soldi, rimaniamo al buio», ha affermato Jacek Karnowski, sindaco di Sopot e coordinatore della fronda. Ne parla Notes from Poland, segnalando inoltre che sulle amministrazioni locali pende anche un disegno di legge del governo per il taglio della redistribuzione dei fondi ottenuti dal gettito fiscale. Le frizioni con Bruxelles sul Recovery Fund, che per la Polonia significa quasi 60 miliardi di Euro tra finanziamenti a fondo perduto e prestiti, hanno fatto tornare d’attualità le voci di una possibile fuoriuscita del Paese dall’Ue. Politico dedica all’argomento un lungo approfondimento alla Polexit. Diritto e Giustizia (PiS), il partito al potere, tiene comunque a precisare che è uno scenario lontano della realtà, si legge sul portale filogovernativo The First News. Non resta che attendere il Consiglio europeo dei prossimi giorni, per capire come questa crisi verrà risolta o se la frattura si allargherà.



Ungheria

L’ex europarlamentare di Fidesz, József Szájer.

L’ex europarlamentare di Fidesz, József Szájer.


La caduta di Szájer  
Fino al 29 novembre József Szájer era un europarlamentare ungherese di Fidesz, il partito al potere a Budapest, che lui stesso, uno dei fedelissimi di Viktor Orbán, ha contribuito a fondare. Quel giorno si è dimesso dal proprio incarico a Bruxelles, a sorpresa, spiegando che aveva bisogno di una pausa di riflessione. Due giorni dopo, il 1° dicembre, si è appreso che aveva partecipato a un'orgia nella capitale belga, in un appartamento privato, assieme a una ventina di uomini. La polizia aveva fatto irruzione durante il party, organizzato in palese violazione delle misure anti-Covid. Szájer era riuscito a scappare dalla finestra, seminudo, ma poco dopo è stato fermato in strada dagli agenti. Aveva con sé il passaporto diplomatico e uno zainetto contenente sostanze stupefacenti. Il vero motivo delle sue dimissioni sta in questa vicenda tragicomica.

Il paradosso è che Szájer, che ha avuto un ruolo dirigenziale anche nel Partito popolare europeo, prima che sospendesse la membership di Fidesz, era noto per le sue posizioni omofobe. Fu lui, nel 2011, a scrivere un controverso emendamento alla Costituzione ungherese sul matrimonio tra uomo e donna, l’unico legalmente possibile. Per una panoramica sul caso Szájer e sulle relative reazioni, consigliamo la rassegna stampa di Live in Budapest, il blog di Alessandro Grimaldi, giornalista italiano di stanza in Ungheria.

La notizia del fermo di Szájer, e delle bizzarre circostanze in cui era avvenuto, ha fatto subito il giro d'Europa, ma in patria è stata inizialmente taciuta dai media filogovernativi. Solo quando Orbán si è espresso sulla vicenda, condannando come «inaccettabili e indifendibili» le azioni dell'ex fedelissimo, gli organi d'informazione vicini a Fidesz se ne sono occupati. Fra i pochi media ungheresi rimasti indipendenti, ne ha scritto Insight Hungary, sezione in inglese del portale 444.

Prosegue la crociata anti-Soros
La campagna di odio rivolta a George Soros dai media e dai politici ungheresi nell'orbita di Orbán si arricchisce di un nuovo triste capitolo. In un articolo uscito su Origo, una testata filogovernativa, Demeter Szilárd, direttore del prestigioso Museo della letteratura di Budapest, ha paragonato il finanziere magiaro-statunitense ad Adolf Hitler, definendolo «un Führer liberale». E l’Europa, ha scritto, «è la sua camera a gas». L’indignazione delle associazioni internazionali ebraiche ha portato Szilárd a ritrattare il suo articolo. La notizia in inglese su Deutsche Welle. Intanto, le opposizioni ungheresi chiedono le dimissioni del direttore del Museo della letteratura.

Budapest contro il governo
Il primo cittadino di Budapest, Gergely Karácsony, è visto da molti come il possibile avversario di Viktor Orbán alle parlamentari del 2022. Per il momento, da sindaco della capitale ungherese si sta battendo contro il governo su vari fronti. L'ultimo in ordine di tempo riguarda la gestione dei rifiuti e il sistema di pagamento online tramite smartphone. Il governo intende privatizzare entrambi per via legislativa e Karácsony si oppone, convinto che questo si tradurrebbe in costi maggiori per i consumatori e sprechi di risorse, oltre a privare di introiti le amministrazioni locali. Nel frattempo, ha deciso di accorpare cinque municipalizzate, tra cui proprio quella che si occupa di rifiuti. Le altre gestiscono cimiteri, parchi pubblici, riscaldamento e pulizia dei camini. Un’unica holding, seguendo l'esempio di Vienna, che permetterà di ridurre i costi e aumentare l'efficienza dei servizi. L’articolo del Budapest Business Journal.

L’incredibile viaggio di Viktor
Raggiungere l'India in bicicletta dall'Ungheria durante una pandemia globale. L'autore della singolare - e rischiosa – impresa, in corso d'opera, si chiama Viktor Zichó. Sta percorrendo i 13mila chilometri che separano Budapest dal Darjeeling sulle orme di un viaggiatore magiaro dell'Ottocento, Sándor Csoma de Kőrös, che coprì un simile itinerario su mezzi di fortuna e a piedi. Al pari del connazionale, ma per motivi diversi, anche Zichó sta incontrando numerose difficoltà sul tragitto. Ha pedalato nell’insidioso territorio iracheno, dormito all'addiaccio ad alta quota e trascorso un mese in una prigione al confine fra Afghanistan e Pakistan per avere tentato di passare la frontiera senza i documenti necessari. Ha raccontato le sue incredibili esperienze di viaggio al sito specializzato Boss Hunting.



Slovacchia


Niente sconti per l’assassino di Kuciak
Il 3 dicembre scorso la Corte suprema ha portato a 25 anni di carcere, dai 23 comminati in secondo grado, la condanna nei confronti di Miroslav Marček, l’esecutore del duplice omicidio ai danni del giornalista investigativo Jan Kuciak e della fidanzata Martina Kušnírová. La corte, come spiega Buongiorno Slovacchia, ha inasprito la sentenza ritenendo che la collaborazione dell’imputato con la giustizia – che gli ha permesso di evitare l’ergastolo – non fosse un elemento sufficiente a meritare uno sconto di pena. Le indagini per l’omicidio di Kuciak sono ancora in corso. Gli inquirenti alla ricerca del mandante.

Nuova era senza corruzione
Un lungo articolo su Reporting Democracy a firma di Miroslava German Širotníková riepiloga gli eventi che negli ultimi mesi hanno cambiato la percezione della corruzione tra gli slovacchi e l’inizio di una nuova fase che rifiuta apertamente e programmaticamente gli incroci tra politica, affari e criminalità organizzata. Il caso Kuciak, scrive Širotníková, è la sorgente dell’accresciuta consapevolezza della società civile.

Consenso al minimo
I test anti-Covid effettuati su tutta la popolazione nelle scorse settimane hanno avuto ampia eco internazionale. Il governo di Igor Matovič ha ricevuto lodi e apprezzamenti per l’iniziativa. Eppure, i sondaggi lo danno in caduta. L’insoddisfazione degli slovacchi sta nel fatto che i test non hanno portato all’allentamento del mini-lockdown in corso. Se Matovič scende (ma non sembra preoccupato), prende quota invece Voce, il nuovo partito fondato dall’ex premier Peter Pellegrini, di recente fuoriuscito dal partito socialdemocratico Smer-SD.


SEGUI TUTTE LE NOSTRE ATTIVITÀ. GLI ARTICOLI SU CARTA E IN RETE. I LONGFORM, STORIE MOLTO LUNGHE, TUTTE DA LEGGERE, POSSIBILMENTE SLEGATE DALLA CRONACA. GLI INTERVENTI RADIO-TV COME ESPERTI. E IL VÁCLAV, LA NOSTRA RICCA RASSEGNA STAMPA SULL’EUROPA CENTRALE.


Repubblica Ceca 


La tigre fiscale
Nelle prossime settimane il parlamento ceco dovrebbe approvare un nuovo pacchetto fiscale, piuttosto radicale. L’imposta sulla persona fisica, ora versata sulla somma tra incasso lordo e contributi sociali, verrà versata solo sul primo dei due fattori. Alla luce della riforma, il guadagno netto medio dei cittadini cechi aumenterà del 6,25%, spiega il Centre for Eastern Studies di Varsavia. Il think tank polacco riferisce che a spingere per questa riforma sono state prima di tutto le imprese, bisognose di snellire un carico fiscale in aumento a causa della piena occupazione, che ha fatto schizzare i salari verso l’alto. L’obiettivo del governo, in sintesi, è aumentare il reddito dei lavoratori dando sollievo alle aziende. L’esecutivo, attraverso la riforma fiscale, punta anche a calamitare investimenti. Qualche dubbio sulla sostenibilità del pacchetto: potrebbe avere contraccolpi negativi sul deficit.

Tra Tel Aviv e Gerusalemme
La Repubblica Ceca aprirà un ufficio diplomatico a Gerusalemme nei prossimi mesi. La sede dell’ambasciata rimarrà ancora a Tel Aviv, si legge sul quotidiano israeliano Haaretz. Da un lato, la mossa va incontro al presidente della Repubblica Miloš Zeman, che da tempo preme per il riconoscimento di Gerusalemme capitale, in linea con la dottrina Trump. Dall’altro, si evita la rottura con la posizione Ue, che resta la solita: due popoli, due Stati.

Mosca, a Praga
Ha suscitato scalpore la richiesta di Zeman all’intelligence ceca: ricevere i documenti classificati sulle attività di spionaggio della Russia nel Paese. In un intervento pubblicato da Reporting Democracy, Mark Galeotti, un esperto di criminalità organizzata e sicurezza statunitense, ha scritto che quanto chiesto da Zeman va oltre le prerogative presidenziali, fa ancora una volta sorgere il dubbio che il capo dello Stato sia legato a Mosca e crea imbarazzo nei servizi cechi, che sono in conflitto da tempo con l’inquilino del Castello di Praga, ma godono di buona reputazione negli ambienti atlantici. Galeotti, a ogni modo, tiene a precisare che la rappresentazione che si dà di Zeman, come “portavoce” degli interessi russi in Europa Centrale, è esagerata.

Il nucleare nel V4
L’atomo non va fuori moda, in Europa Centrale. Tutti e quattro i Paesi di Visegrád guardano al nucleare come una risorsa del mix energetico del futuro, che giocoforza verrà scandito dalla decarbonizzazione. Ma tra tensioni geopolitiche in corso sul potenziamento del settore nucleare ceco (rivalità Washington-Mosca), appalti e lavori complicati (per esempio quello dell’Enel in Slovacchia) e grandi propositi da realizzare (la Polonia non ha una sua centrale ma ne progetta una), l’atomo è non solo una risorsa energetica, ma anche un problema politico. O una leva. Una riflessione di Martin Ehl, cronista ceco, per Transitions Online.


Polonia

Orlen, colosso energetico di stato, ha acquisito una serie di giornali locali da un gruppo editoriale tedesco. Parte così la “ripolonizzazione” del settore stampa, da tempo sbandierata dal governo.


Le mani del governo sui media
Orlen, la principale compagnia energetica del Paese, di proprietà pubblica, ha annunciato l’acquisizione del gruppo editoriale Polska Press, controllato in precedenza dai tedeschi di Verlagsgruppe Passau. Il governo polacco mette così a punto un importante colpo verso la preannunciata “ripolonizzazione” del settore stampa. A Polska Press fanno riferimento 20 quotidiani locali, 120 settimanali regionali e centinaia di siti web, tra cui il popolare sito generalista Nasze Miasto. Orlen stima in questo modo di riuscire a raggiungere oltre 17 milioni di lettori. Come ricorda Notes from Poland, a inizio ottobre il vice premier e ministro della Cultura, Piotr Gliński aveva dichiarato che «laddove è possibile, le controllate statali dovrebbero acquistare i media di informazione». Si tratta di una mossa che farà inevitabilmente discutere e che getta ombre lunghe sulla libertà di informazione nel Paese. In molti pensano che le testate acquisite da Orlen adottino una linea filogovernativa.

Ancora proteste sull’aborto
Il movimento Strajk Kobiet, “lo sciopero delle donne”, continua a organizzare manifestazioni di protesta dopo la stretta sull’aborto decisa dal Tribunale costituzionale (il governo non ha però ancora ordinato la pubblicazione della sentenza). Si organizzano regolarmente dei blocchi stradali o “passeggiate” nel centro storico delle città, tante, dove il movimento è attivo. 

Via via si è alzato il livello della tensione tra attiviste e forze dell’ordine. Più volte la polizia è intervenuta arrestando le manifestanti; più volte ha usato manganelli e spray lacrimogeni. Un paio di settimane fa ha destato scalpore l’arresto di Agata Grzybowska, fotogiornalista di Gazeta Wyborcza e Associated Press, che stava fotografando un picchetto di fronte al ministero dell’Educazione, a Varsavia. A una protesta tenutasi il 28 novembre, sempre a Varsavia, Barbara Nowacka, deputata di Inicjatywa Polska, partito progressista, è stata aggredita da un agente con spray urticante. Associated Press dedica un lungo approfondimento alle proteste delle donne, e alla loro rabbia.

La battaglia dell’e-commerce
Finora il commercio online polacco è stata una fetta di mercato che ha visto come unico protagonista Allegro, piattaforma di e-commerce creata a Poznań nel 1999, su cui ogni anno vengono acquistati circa 70 milioni di articoli: è solo il 5,6% degli acquisti effettuati in Polonia. La pandemia ha però spinto sempre più gente a comprare online, e Amazon ha drizzato le antenne. Possibile un suo ingresso nel mercato polacco. Notes from Poland traccia tutti gli scenari di quella che si preannuncia come una vera battaglia per il monopolio del settore. Un fattore importante sarà il controllo dei locker-box, cassette posizionate in luoghi pubblici e nelle quali vengono recapitati i pacchi. Una gran parte è gestita da InPost, società con cui Allegro ha un contratto di collaborazione di sette anni.

La piscina più profonda del mondo
Si chiama Deepspot e con i suoi 45,5 metri di profondità si è guadagnata un posto nel Guinness dei primati. Si trova a Mszczonów, a 45 km da Varsavia. È aperta a tutti e funge sia da attrazione turistica che da struttura per l’addestramento dei sub. Per riempirla servono 8mila metri cubi d’acqua, al suo interno si trovano repliche di grotte sottomarine e rovine Maya, mentre sul fondo giace la riproduzione del relitto di una nave. Video di Business Insider.

La genuflessione di Willy Brandt
Il 7 dicembre del 1970, cinquant’anni fa, il cancelliere tedesco-occidentale Willy Brandt fece un gesto di grande significato storico e politico. Durante una visita di stato a Varsavia, si inginocchiò davanti al memoriale alle vittime del ghetto, nel quartiere di Muranow, raccogliendosi in preghiera. Un gesto che spiazzò il governo polacco, abituato a pensare alla Germania Ovest come a un Paese revanscista, e gli stessi tedesco-occidentali, che all’epoca non erano ancora pienamente pronti ad affrontare la grande questione morale dei crimini nazisti. Brandt, un socialdemocratico, già sindaco di Berlino Ovest, aprì una pagina nuova. Da un lato, perseguiva la sua visione di Ostpolitik, di disgelo con l’altra Germania e in generale con tutto il blocco comunista. Dall’altro, gettava le basi per la riconciliazione polacco-tedesca, un pilastro dell’Europa post-’89, oggi messo in discussione a Varsavia: i rapporti con Berlino sono freddi, e la storia della Seconda guerra mondiale è tornata a pesare come una montagna. Spiega tutto Deutsche Welle.

Polonia Brandt 1970.jpg

Chi siamo, dove siamo 

Centrum Report è un collettivo giornalistico fondato da Matteo Tacconi, Fabio Turco, Salvatore Greco e Lorenzo Berardi, tutti appassionati di Europa Centrale. Per saperne di più su di noi clicca qui. Siamo presenti in rete con un sito, una pagina Facebook e un account Twitter

Due i prodotti che sviluppiamo. Il primo è 
Václav, una rassegna stampa ragionata. Una bussola per capire dove va la regione. La pubblichiamo ogni due settimane. Se apprezzate il nostro servizio, invitate altre persone a fruirne!

E poi scriviamo i 
longform. Articoli molto lunghi, da leggere tutti d'un fiato, su cultura, storia, politica e società dei Paesi dell'Europa Centrale. Non inseguiamo l'attualità, cerchiamo piuttosto di promuovere un giornalismo lento e attento. Ecco l'archivio della sezione.


Centrum Report