Václav #13

1-15 giugno 2019
 

I primi quindici giorni di giugno sono stati complicati dal punto di vista politico per i leader di Polonia, Repubbica Ceca e Ungheria. Il presidente polacco Andrzej Duda ha raccolto molto meno di quanto preventivato nella sua visita alla Casa Bianca. Partito con la speranza di strappare un impegno da parte di Donald Trump per la costruzione di una base militare permanente sul suolo polacco, si è dovuto “accontentare” della promessa di mille soldati, da dispiegare su base non permanente. 

Fronte ungherese: è stato svelato il contenuto di una lettera scritta da Orbàn alla segreteria del Partito popolare europeo in risposta alle critiche al suo operato. La missiva, che offre uno spaccato importante sul pensiero del premier ungherese, si chiude con un eloquente “Sorry, this is a complete nonsense”. 

Il momento più difficile lo sta passando però il premier ceco Andrej Babiš, ormai al centro di una contestazione continua, a causa dell'accusa di appropriazioni indebita di fondi Ue. 120mila persone sono scese in piazza per chiedere le sue dimissioni. Lui però tiene duro e punta il dito contro Bruxelles, accusandola di manipolare i cittadini cechi. Periodo più tranquillo invece in Slovacchia, dove Zuzana Čaputová si è insediata ufficialmente alla presidenza. Intanto, l'ex premier Robert Fico annuncia di voler restare in sella a Direzione-Socialdemocrazia (Sme), il partito di maggioranza al governo. 

Giugno è anche il mese dei trent’anni dalle elezioni che il 4 giugno 1989 portarono la democrazia in Polonia e dal taglio simbolico del filo spinato alla frontiera tra Austria e Ungheria. Due momenti che si rivelarono decisivi per il corso degli eventi in Germania, e per la caduta del Muro. Ve li raccontiamo attraverso il nostro nuovo longform e una raccolta di pezzi d’archivio del Guardian.

Riportiamo inoltre due notizie interessanti sulle minoranze rom e casciuba, e vi facciamo sapere com’è andato il gay pride a Varsavia. Questo e molto altro nel Václav della prima metà di giugno.

Buona lettura!


POLONIA

Duda alla Casa Bianca
Gli Stati Uniti potrebbero presto inviare mille soldati in Polonia, spostandoli dal contingente di stanza in Germania. I militari andranno ad aggiungersi ai 4500 inquadrati nelle forze di rotazione Nato. La decisione ufficiale non è stata ancora presa, ma rientrerebbe negli accordi presi tra il presidente americano Trump e quello polacco Duda, durante la visita di quest’ultimo alla Casa Bianca. Secondo il New York Times, l’accordo non soddisferebbe pienamente le richieste della Polonia, che invece preme per la costruzione di una base Usa permanente, il cosiddetto Fort Trump. Come evidenzia Deutsche Welle una decisione del genere verrebbe considerata una minaccia diretta da parte della Russia, ed è per questo che l’amministrazione americana sta prendendo tempo, preferendo un impegno più soft. L’incontro è servito anche per ratificare l’acquisto della Polonia di 30 F35 e un accordo commerciale del valore di 8 miliardi di dollari che permetterà agli Usa di vendere più gas Lng alla Polonia rispetto a quanto fatto finora.

Le elezioni della libertà
Il 4 giugno 1989 si tenevano in Polonia le prime elezioni dalla fine della seconda guerra mondiale. Le urne videro la travolgente vittoria di Solidarność segnando l’inizio della transizione democratica. L’ultimo longform di Centrum Report, a firma di Matteo Tacconi, racconta come andarono quelle elezioni, che insieme a quelle ungheresi, concorsero a dare il via a una serie di eventi che portarono alla caduta del Muro di Berlino. 
A trent’anni di distanza Sławomir Sierakowski, da anni leader e animatore della rivista e casa editrice di sinistra Krytyka Polityczna, racconta al Guardian, il suo punto di vista sulla Polonia libera enumerandone i successi e gli obiettivi mancati, i pregi e i difetti, tutto da un punto di vista progressista.

Calcio e "pogrom"     
Un tweet condiviso dal profilo ufficiale della federcalcio polacca ha suscitato grandi polemiche. Durante la partita di qualificazione tra Polonia e Israele, per celebrare il gol del 4-0 è stata utilizzata la frase “Questo è un pogrom”. La scelta di usare il termine pogrom, che nel gergo sportivo indica una larga vittoria, è stata ampiamente criticata considerando il significato della parola riferito alla persecuzione degli ebrei. In Israele ne ha scritto Haaretz. Non si è trattato dell’unico incidente che ha riguardato la partita. Durante gli inni nazionali una parte del pubblico di casa aveva fischiato l’inno ospite, salvo venire coperto dagli applausi del resto dello stadio. Qualche ora prima del calcio d’inizio era stata ricordata la figura di Josef Klotz il giocatore di origine ebraica che segnò il primo gol della storia della nazionale polacca. Lo scrive Euronews.

Il gay pride di Varsavia
Il gay pride svoltosi a Varsavia l’8 giugno è stato il più imponente mai tenutosi nei Paesi dell’Europa centro-orientale. Secondo le autorità sono state 47mila le persone scese nelle strade della capitale polacca (80mila secondo gli organizzatori). Ad aprire il corteo è stato il sindaco Rafał Trzaswkoski, il quale ha affermato che Varsavia deve essere aperta e tollerante, un posto per tutti.  Come evidenzia il Time, il supporto e la sensibilità nei confronti delle tematiche Lgbtq sta crescendo nelle città polacche, ma si assiste anche a un aumento di toni violenti da parte dell’estrema destra.

Pedofilia nella chiesa 
L’arcivescovo maltese Charles Scicluna, a capo della commissione di indagine vaticana sulla pedofilia nel clero, ha espresso il desiderio che i vescovi polacchi agiscano al meglio e al più presto sugli scandali sempre più pressanti che hanno colpito la Chiesa in Polonia. Lo riporta la Reuters.

Accoglienza a due facce           
Politico fa il punto sulle strategie d'accoglienza messe in atto dalla Polonia evidenziando un atteggiamento bifronte. Da un lato, il governo di Varsavia si oppone da anni in modo deciso all'arrivo di rifugiati provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente. Dall'altro, nel 2017 la Polonia è stato il Paese che ha concesso il maggior numero di permessi di lavoro a stranieri nell’Unione europea: l'85% di essi a ucraini. Dal 2014 a oggi si stima che 2 milioni di ucraini si siano stabiliti in Polonia per motivi occupazionali o di studio. Una migrazione economica incoraggiata dalle politiche di Varsavia e richiesta dal mercato del lavoro.  

Il peso dei media    
Sulle colonne di Visegrad Insight, Marcin Zaborowski traccia un quadro del panorama mediatico polacco sottolineando come l'83% dei polacchi si informi tramite la televisione e il 59% sul Web. In questo contesto, il crescente controllo governativo della televisione pubblica Tvp, la più seguita, si è rivelato importante durante l'ultima campagna elettorale per le europee, vinte proprio dal partito di governo, Diritto e Giustizia (PiS).

Casciubi, identità divisa
I casciubi sono una popolazione che da secoli vive in Pomerania, lungo le coste polacche del baltico. Soffrirono sia sotto l'occupazione tedesca che durante il comunismo. L'ex premier polacco e attuale presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk è di origini casciube. Nel censimento polacco del 2011, 232mila persone si sono dichiarate anche di nazionalità casciuba e 17mila interamente tali. Oggi la lingua e l'identità di questo popolo stanno lentamente svanendo, ma restano ancora tangibili. Un reportage di New Eastern Europe.

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Centrum Report