Pugni d'oro
di Fabio Turco
Il 5 settembre 1960 non è una data qualunque nella storia del pugilato. Al PalaEur di Roma si disputa la finale olimpica dei superwelter. Sul ring sale un ragazzino del Kentucky del quale si dice un gran bene. È veloce, pungente, sfrontato. Si chiama Cassius Clay, e ha poco più di 18 anni. A livello dilettantistico ha vinto molto, e gli addetti ai lavori prevedono per lui un grande avvenire. Arrivato a Roma con la dichiarata intenzione di vincere, si guadagna ben presto l’appellativo di Sindaco del villaggio olimpico per l’intensa attività sociale che intrattiene fuori dal ring. Stringe mani, intesse rapporti, e a tutti quelli che incontra dichiara: «Diventerò il più grande di tutti i tempi». Dentro il quadrato nulla sembra fermarlo. Ha eliminato per ko il belga Yvon Becaus e ha vinto senza discussioni di sorta contro il sovietico Gennady Shatkov e il britannico Tony Madigan.
L’ultimo ostacolo verso la gloria è il ventiseienne polacco Zbigniew “Ziggy” Pietrzykowski, decisamente meno appariscente, ma più affermato a livello internazionale. A livello europeo si è aggiudicato la medaglia d’oro dei superwelter a Berlino ’55, quella dei medi a Praga ’57 e quella dei mediomassimi a Lucerna nel ’59. Inoltre è già salito sul podio olimpico, sul gradino più basso, sempre nella categoria superwelter a Melbourne ’56. Il suo percorso fino alla finale è stato trionfale, quattro incontri vinti all’unanimità, tra cui la difficile semifinale contro l’italiano Giulio Saraudi. In Polonia il match è attesissimo. Le Olimpiadi di Roma sono le prime trasmesse dalla tv pubblica. Si stima che un milione di persone si siano radunate per seguire l’incontro alla radio oppure davanti ai pochi teleschermi in circolazione. È stato addirittura approntato un servizio di centralino telefonico che dà aggiornamenti in diretta. Quella sera Pietrzykowski, oltre al sostegno del suo Paese, può contare anche su quello del pubblico italiano. Qualche minuto prima si è conclusa la finale dei pesi medi, anche questa tra un americano, Eddie Crook, e un polacco, Tadeusz Walasek. Gli arbitri hanno decretato la vittoria dello statunitense per 3-2 e gli astanti hanno accolto la decisione con una valanga di fischi.
Si prospetta una finale dall’esito incerto e difatti il primo round vede un sostanziale equilibrio, se non un leggero predominio da parte di Pietrzykowski, che riesce ad andare a segno più volte con il suo mancino. Almeno all’inizio Cassius Clay sembra imballato, forse frenato dall’emozione. Anche la prima parte del secondo round si combatte su questo registro, poi improvvisamente emergono la velocità e la classe di Clay, che con una serie velocissima di colpi raggiunge Pietrzykowski prima della campana. Il terzo round è un monologo dell’americano, che provoca una vistosa ferita al volto del polacco. Il verdetto finale è unanime. Pietrzykowski riconosce subito la superiorità dell’avversario e in un’intervista rilasciata qualche anno più tardi al giornalista Rino Tommasi dichiara: «Sapevo che Cassius avrebbe vinto già prima di salire sul ring e fui contento del fatto di essere riuscito a resistere per tutte e tre le riprese». Tra i due pugili rimarrà per sempre un rapporto di grande stima. Qualche anno più tardi in occasione di un programma televisivo, Alì non riuscirà a trattenere la gioia quando scoprirà che l’ospite a sorpresa della serata è proprio Pietrzykowski.
Quello è il giorno in cui nasce la leggenda di Cassius Clay, in seguito Muhammad Ali. La prima vittoria da pro, a cui seguirà una serie infinita. Per Pietrzykowski rimarrà la consapevolezza di essere stato suo malgrado protagonista di un momento storico, un combattimento che si incastona nel palmares di una carriera maestosa. I titoli europei alla fine saranno quattro, mentre nel 1964 porterà a casa la terza medaglia olimpica, ancora di bronzo, nella categoria dei mediomassimi. I titoli nazionali sono undici, oltre a tre di squadra. Tra i momenti indimenticabili, quando appena ventunenne sconfisse il tre volte campione olimpico László Papp.
Pietrzykowski è riconosciuto da più parti come il più grande pugile polacco di tutti i tempi. Eppure il suo non fu un successo isolato. Pietrzykowkski era la punta di diamante di una generazione irripetibile, che tra gli anni ’50 e ’60 fu capace di portare a casa qualcosa come 24 medaglie olimpiche. Per comprendere il fenomeno bisogna zoomare sull’angolo del ring dove con cipiglio severo un uomo di una sessantina d’anni, osserva attento l’incontro. Si chiama Feliks Stamm, detto “Papa”, e di quella magica squadra è allenatore, mentore e forgiatore.
Feliks “Papa” Stamm
Nato nel 1901 a Kościan, nella regione della Grande Polonia, Stamm si avvicina alla boxe relativamente tardi. La sua prima passione sono i cavalli. Dopo aver partecipato alla guerra polacco- sovietica del 1920 diventa istruttore di equitazione alla Scuola Centrale di Cavalleria di Grudziądz. Ed è qui che assiste ai primi combattimenti e apprende i rudimenti del pugilato grazie agli istruttori americani della Young Men’s Christian Association. Terminata la sua esperienza nell’esercito Stamm si trasferisce a Poznań dove si iscrive al club Pentathlon. Qui inizia la sua breve carriera come pugile che durerà l’arco di undici incontri, con uno score di nove vittorie, un pareggio e una sconfitta. Un periodo breve ma fondamentale, in cui capisce che la sua strada è quella dell’allenatore. Stamm dimostra da subito di avere una particolare predisposizione per sostenere individualmente i ragazzi che allena, esaltandone le qualità, limandone i difetti, e soprattutto supportandoli dal punto di vista umano. Già nel 1926 diventa istruttore nel club del Warta Poznań, ed entra nel giro della Nazionale in qualità di collaboratore. Ai quei tempi la guida della squadra maggiore viene affidata ad allenatori stranieri, ma le soddisfazioni sono ben poche. La sua grande chance arriva nel 1936 quando, dopo la deludente spedizione alle Olimpiadi di Berlino, gli viene affidato il ruolo di allenatore titolare.
I primi successi
L’anno dopo, agli Europei di Milano, la squadra polacca ottiene un ottimo risultato cogliendo la medaglia d’oro con Aleksander Polus nei pesi piuma ed Henrzk Chmielewski nei medi e quella d’argento con Edmund Sobkowiak nei pesi mosca e Franciszek Szymura nella categoria dei mediomassimi Due anni più tardi all’edizione di Dublino arriva un’altra buona prestazione con la medaglia d’oro di Antoni Kolczyński e l’argento di Antoni Czortek, Józef Pisarski, e di nuovo, di Szymura. Sembra essere il trampolino di lancio per una stagione di grandi successi, con i Giochi di Helsinki che si profilano all’orizzonte, invece lo scoppio della Seconda guerra mondiale scombina tutto quanto. Dopo la fine del conflitto la Polonia è in ginocchio su più fronti, e quello sportivo non è da meno. Tuttavia nel 1948 l’unica medaglia alle Olimpiadi di Londra sarà portata proprio da uno dei ragazzi di Stamm, Aleksy Antkiewicz, che nella categoria dei pesi piuma vince la medaglia di bronzo.
I ragazzi di Papa Stamm
Una delle più grandi abilità di Stamm è quella di aver capito che oltre alla condizione fisica, per raggiungere i risultati è importante anche lavorare sullo spirito. E i risultati non tardano ad arrivare. Dopo i Giochi di Helsinki del 1952, dove la squadra polacca si aggiudica un oro e un argento, il primo grande successo arriva nel 1953, quando una Varsavia ancora devastata dalla guerra ospita i campionati europei. I padroni di casa si aggiudicano nove medaglie in totale, di cui cinque d’oro, mandando la folla in visibilio. Già dal primo incontro il pubblico comincia a inneggiare a Stamm, che rimane impassibile nell’angolo. Alla fine confesserà di considerare quel giorno il più bello della sua vita. È l’inizio dell’epopea dei ragazzi di Papa Stamm: i suoi pugili d’oro sono Henryk Kukier nei pesi mosca, Zenon Stefaniuk nei pesi gallo, Józef Kruża nei pesi piuma, Leszek Drogosz nei superwelter e Zygmunt Chychła nei welter; Tadeusz Grzelak e Bogdan Węgrzyniak, sono d’argento, mentre Antkiewicz e Pietrzykowski si aggiudicano la medaglia di bronzo. Da lì in poi il pugilato europeo e mondiale si tinge di biancorosso. Stamm si dedica individualmente ai suoi ragazzi, esaltandone i pregi e correggendone i difetti, ottenendo dei continui miglioramenti. A livello continentale la scuola pugilistica polacca è protagonista assoluta di tutte le rassegne per quasi un ventennio. Alle Olimpiadi di Roma spicca l’oro di Kazimierz Paździor nei pesi leggeri; oltre ai citati argenti di Pietrzykowski e Walasek si aggiunge quello di Adamski nei pesi piuma, mentre Brunon Bendig, Marian Kasprzyk e Drogosz sono di bronzo. Il risultato migliore della scuola pugilistica polacca viene raggiunto alle Olimpiadi di Tokyo ’64, dove si registra un’autentica pioggia di medaglie: Józef Grudzień, Jerzy Kulej e Kasprzyk conquistano l’oro; Artur Olech è d’argento, mentre Joseph Grzesiak, Walasek e Pietrzykowski portano a casa il bronzo. L’ultima olimpiade “con la regia” Stamm è quella di Città del Messico 1968. In quell’edizione Kulej bissa la vittoria di quattro anni prima; Olech e Grudzień sono d’argento, mentre Skrzypczak e Dragan completano il medagliere con il bronzo.
Negli anni successivi l’eredità del lavoro dell’allenatore polacco, che comunque resta nel giro della Nazionale ancora un paio d’anni in qualità di consulente, si fa sentire. Fino ai Giochi olimpici di Montreal ‘76 la Polonia riesce a posizionarsi sempre in un’ottima posizione nel medagliere, grazie anche agli ori di Jan Szczepański e Jerzy Rybicki, poi il panorama pugilistico conosce un lento ma inesorabile declino. Tempo fa fu chiesto a Kasprzyk se i pugili contemporanei avrebbero potuto tenere testa a quelli della sua generazione. La risposta fu secca: «Non avrebbero avuto scampo».
La memoria
Stamm è morto nel 1976, ma il suo nome ha ancora una carica iconica ed evocativa impressionante in Polonia. Per rendere l’idea, la sua figura potrebbe essere paragonabile a quella di Nereo Rocco per il calcio italiano. Sempre raffigurato con il broncio, ed eternamente insoddisfatto «Diceva sempre che qualcosa era troppo lento, troppo debole, che la coordinazione non era buona. Ma allo stesso tempo tutti sapevano che in realtà “Papa” era molto contento, solo che non voleva mostrarlo» raccontava Zbigniew Sosnowski, un superwelter dell’epoca. A dicembre 2018 Stamm è stato nominato allenatore polacco del XX secolo e a lui è stato dedicato il museo della boxe di Varsavia, una minuscola miniera ricca di cimeli di ogni tipo, situata all’interno di Hala Gwardii, ex tempio della boxe polacca che fu cornice dei gloriosi Europei del ’53, oggi riadattato a mercato e spazio gastronomico dall’ispirazione un po’ hipster. Segno dei tempi che cambiano. A maggio proprio di fronte all’edificio verrà svelato il monumento dedicato a Stamm. I guantoni legati al collo, il cipiglio severo sempre quello, a guardare i suoi ragazzi e a rievocare i ricordi di una generazione, che quelli no, non svaniranno mai.